Pietro Chiarini a Cremona – Cronistoria di una querelle musicale

Un prospetto datato semplicemente 1776 descrive la fisionomia della «Capella dell’insigne Fabrica della Cattedrale di Cremona» [1] in quell’anno; vi figurano i professori salariati, la remunerazione, il numero delle funzioni annue e la «tangente d’ogni fonzione» in lire:
Maestro di capella: Pietro Chiarini, 312.10; 57; A (austriache lire) 5.9.8
Musici:
soprano, Gabriele Schiroli:  450; 57; 7.18
contralto, Nicola Lopez:  450; 57; 7.18
tenori:  Francesco Pedrazzoli:  150; 57; 2.12; 7 2/4
              Antonio Sacchi:  150; 57; 2.12; 7 2/4
bassi:    don Fermo Bidelli:  150; 57; 2.12; 7 2/4
               Francesco Canobbio:  150; 57; 2.12; 7 2/4
               Giuseppe Schiroli:  150; 57; 2.12; 7 2/4
Sonatori [in bianco]
In un appunto non firmato datato 6 Febbraio 1835 si afferma testualmente che «Chiarini Pietro eletto li 27 luglio 1746 coll’annuo onorario di cremonesi lire 312.10 con atto di congregazione 18 agosto 1776 si è aumentato di 107.10 per un totale di lire 450. Al suddetto Chiarini succede interinalmente il signor don Arighi [2] allora organista della Cattedrale cioè nel 1777 per atto di congregazione 18 aprile. L’Arighi è morto li 6 settembre 1797 ed ha sempre percepito l’onorario di 450 lire cremonesi. Col 6 settembre 1797 succede il signor Giuseppe Poffa sino al 31 marzo 1801. Dal 1 aprile 1801 al 31 marzo 1804 ha supplito interinalmente il sacerdote don Francesco Poffa collo stesso onorario di cremonesi 450» [3].
Un altro foglio isolato datato 1780 e intitolato «Storia della Capella delle Laudi» [4] ricostruisce sommariamente le vicende dell’Istituzione ricordando che
   «La fonzione delle Laudi che si cantano ogni sabbato e nelle vigilie della Beata Vergine ha avuto il suo principio il 1596 come risulta dall’atto di congregazione del 2 aprile 1596. Il primo maestro di capella per le Laudi è stato Rodiano Barera con l’obbligo di mantenere 15 parti fra filarmonici e cantanti».
Il primo organista fu Omobono Morsolino; l’elezione, che era temporanea, divenne poi vitalizia. Nel 1704 era maestro di Cappella don Antonio Torriani e organista don Giuseppe Gonella (Gonelli) con un organico di due soprani, due contralti, due tenori e due bassi. Nel 1771
   «essendo maestro di capella per le Laudi il signor Pietro Chiarini oltre che il molto reverendo signor don Giacomo Arighi organista era composta di 7 soggetti, cioè 2 soprani, 2 tenori, 3 bassi». Al signor maestro di capella era corrisposto lo stipendio di lire 312.10 e 1300 per i cantori, organista e levamantici, più 150 per ogni cantante.
   «Nella congregazione del 1771 è stato accresciuto il salario al levamantici dalle 80 alle 100, nella congregazione del 3 gennaio 1774 è stato eletto contralto il signor Nicola Lopez a lire 450, nella congregazione del 17 maggio 1776 è stato accresciuto al Gabriele Schiroli il salario a 450, nella congregazione del giorno 18 agosto 1776 è stato accresciuto il salario al detto signor Chiarini dalle 312.10 alle 450». Ancora si legge: «Ad oggi la capella per le Laudi oltre il maestro di capella e l’organista è composta di otto soggetti, cioè di un soprano, un contralto, di tre tenori e tre bassi e si corrispondono li salari dall’insigne Fabbrica nel modo seguente:
   Molto reverendo signor don Giacomo Arighi maestro di capella per le Laudi lire 450
   Al sudetto, come organista per le laudi, lire 150
   Nicola Lopez, contralto, lire 450
   Gaetano Surlini, soprano, lire 450
   Reverendo don Fermo Bidelli,basso, lire 150
   Francesco Canobbio, basso, lire 450
   Giuseppe Schiroli, basso, lire 150
   Antonio Sacchi, tenore, lire 150
   Francesco Pedrazzoli, tenore, lire 150
   Giovanni Brusati, tenore, lire 150
   Omobono Zucchi, levamantici, lire 100»
Ordinariamente alle Laudi non intervenivano gli strumentisti (all’epoca chiamati filarmonici), ad eccezione delle vigilie di alcune festività – precisamente: Purificazione, SS. Annunziata, Pasqua, Pentecoste, B. Vergine della Neve, Natività di Maria, Presentazione di Maria Vergine, Immacolata Concezione – in cui solevano intervenire i musicisti
   «Felice Manara, Giuseppe Galli, Giuseppe Polenghi, professori di violino; Giovanni Calamani, oboe; Zacaria Barbieri, violoncello; Giuseppe Monestirolo, contrabbasso».
Questi dati, che danno un quadro essenziale dell’ambiente in cui operò in qualità di Maestro di Cappella della Cattedrale di Cremona Pietro Chiarini detto il «brescianino» (1712-1777) [5] e quello immediatamente successivo, ci fanno capire le caratteristiche del servizio prestato a quei tempi: i nomi riportati erano di musicisti che partecipavano alla vita culturale cittadina sia in relazione alla musica sacra prodotta nelle chiese sia nelle rappresentazioni teatrali; la musica era scritta per solisti le cui esibizioni non si differenziavano nei due ambiti. La cronologia delle opere in musica rappresentate al teatro Nazari di Cremona e i relativi organici [6] dimostrano che i soprani e gli strumentisti si esibivano, oltre che in Cattedrale, nelle stagioni di carnevale o primavera dei teatri locali e che il maestro di Cappella poteva comporre o accompagnare al cembalo in teatro.
La Fabbriceria era l’organismo che si occupava «della musica delle Lodi che si cantano ogni sabbato in onore della Beata Vergine Maria e nelle di lei vigilie come altresì per la sua festività solenne dell’Assunta e per ogni altra occorrenza che possano insorgere» [7], della quale erano incaricati due consiglieri di nomina annuale.
La comparsa sulla scena cremonese del Chiarini è da posticipare rispetto al 1738 indicato da Elia Santoro [8]; non vi è notizia di concorsi per assumere il posto di maestro d’organo tanto per quell’anno quanto per il 1745, anno della morte di Giuseppe Gonelli, cui successe don Giacomo Arighi in qualità di organista. Non solo la giovane età del Chiarini sembra sconsigliare un inquadramento così precoce, ma anche i suoi molti impegni operistici a Brescia, Verona e Venezia, dicono che forse il nostro musicista tentava in quegli anni di intraprendere una carriera ben più brillante; infine, nella memoria presentata alla Fabbriceria il 12 marzo 1774 (vedi infra) lo stesso Chiarini dice, parlando del proprio servizio di maestro di Cappella in Cattedrale, di averlo svolto «per ben ventisei anni continui», cioè dal 1748.
La situazione degli anni precedenti l’arrivo di Chiarini in Cattedrale è delineata da notizie riguardanti altri musicisti cremonesi. Il 16 agosto 1739 si decise di compensare il «signor Gonella maestro di Capella» con altri due zecchini in aggiunta ai soliti due, «attesa la maggior fatica che ha fatto nel far cantare una messa nova da lui composta in occasione della solenne festività della Beata Maria Vergine Assonta hieri celebrata in questa chiesa maggiore» [9].
In quella stessa seduta la Fabbriceria registrava che il maestro di Cappella don Antonio Torriani era stato «da molto tempo in qua» sostituito dal fratello, «attese le sue notorie indisposizioni», e poiché non era sperabile una guarigione «a segno di poter ripigliare ogni sabbato il canto» nominava un nuovo tenore in luogo del Torriani. Che il maestro di Cappella sostituisse voci mancanti è segnalato ripetutamente ed anche il Chiarini si prestò a tale necessità.
Il 22 agosto 1742 veniva rinnovato l’incarico di organista a Giuseppe Gonelli per nove anni, secondo le norme capitolari [10].
Il 17 ottobre 1744, il 15 dicembre e il 5 gennaio seguenti venne interpellato «il signor Arighi maestro di capella» «sopra il suono delle dette campane formate di novo»; egli produsse un dettagliato resoconto con firma autografa apposta in calce e con l’assistenza di due membri della Cappella, don Fermo Bidelli e Giovanni Battista Pollino.
Morto il Gonelli il 17 Febbraio 1745, il 12 Aprile di quell’anno si addivenne, mediante votazione, alla nomina di Giacomo Arighi ad organista della Cattedrale [11]; la frattura che si riscontra all’interno del Capitolo (diciassette voti a favore e sette contrari), è forse da mettere in relazione con la presenza sulla piazza cremonese del Chiarini come collaboratore del Torriani (vedi infra), probabilmente aspirante anch’egli ad incarichi in Cattedrale.
Il 17 aprile 1745 i fabbriceri presero atto della nomina dell’Arighi a organista: «Si è letto l’avviso trasmesso a questa camera per parte del reverendo Capitolo nel quale avanza la notizia d’avere eletto in organista il reverendo signor don Giacomo Arighi affinché questa camera secondo il solito faccia le sue incombenze in conformità della sentenza eseguita il 19 ottobre 1556». I congregati elessero i nobili Giuseppe Lodi Mora e Giuseppe Manfredi in solidum «a divenire per pubblico atto alla conferma di detto signor Arighi giusta la mente di questa congregazione a loro nota con facoltà di promettere il solito salario e di obbligare li beni di questa camera e di prestare qualunque giuramento per la validità dell’atto da celebrare».
Il fitto carteggio esistente nell’epistolario di padre Giovanni Battista Martini [12] ci illumina sulla singolare situazione venutasi a creare in quegli anni in Cattedrale, quando, avvicinandosi il momento della successione al Torriani, si formarono due schieramenti, uno a sostegno di Pietro Chiarini e l’altro a favore di don Giacomo Arighi. I termini sono dati dalle lettere autografe dell’Arighi e di tale padre Botta, forse della congregazione dei domenicani che avevano invitato il musicista a svolgere mansioni di maestro di cappella, del 16 giugno 1746 [13]; in esse vengono riferiti i fatti precedenti e si adducono le motivazioni del partito avverso; tentiamo dunque di ricostruire la vicenda, cercando di porre ordine nel carteggio.
L’iniziativa sembra essere partita dall’ecclesiastico amico dell’Arighi, padre Botta; egli aveva scritto a padre Giuseppe Asti, dei Teatini di Bologna, pregandolo di far esaminare da padre Martini un Magnificat composto dall’Arighi, evidentemente per avere rassicurazioni sul valore del musicista da contrapporre a chi avesse dubbi in proposito; la risposta dovette essere assai favorevole, se la sua lettera a padre Asti esordiva entusiasticamente
   «Non puoi imaginare di quanta consolazione sia stata a don Jacopo come a me la tua  gentilissima lettera ed entrambi protestiamo infinite obbligazioni per la pena che ti sei preso in favorirci».
Nel pregarlo di ringraziare padre Martini che aveva espresso un tale parere, il Botta ci dice che, riguardo all’Arighi,
    «i suoi malevoli col dichiararlo semplice organista in  verun conto non lo vogliono considerare maestro di capella, il che siccome presso li stolti fa colpo, così riesce a don Jacopo d’assai sensibile pregiudizio»; per questo si desiderava sapere se veramente «il medesimo possa meritarsi il sudetto Carattere [titolo] e per maggiormente confondere  chi più s’appaga della moltiplicità degli attestati che sul sentimento d’uno maestro tanto accreditato come è il padre Martini giudicherei opportuno che sia riportato in iscritto il sentimento del sig. Perti e del sig. Pedrini ai quali si potrebbe dal padre Martini far esaminare il Magnificat già speditogli ed il salmo Laudate e una muta di Litanie quali a prima sicura occasione gli verranno inviati»; i maestri interpellati avrebbero potuto fornire un attestato sottoscritto da tutte e tre o anche singolarmente «secondo che da loro sarà giudicato suo proprio». Vi era anche una questione giuridica, perché alla lettera allegava anche una copia di una scrittura o contratto steso tempo addietro da alcuni «Cavaglieri» che accusavano l’Arighi di aver accumulato troppi incarichi:
   «ora dicono che tale scrittura non sia più in vigore per avervi contravvenuto don Jacopo avendo accettato di fare alcune funzioni in S. Domenico quando in virtù della scrittura non poteva accettarla pretendendo li Cavaglieri che avendo avuta quella di S. Francesco dovesse essere obbligato a rinunziare qualunque invito gli fosse stato fatto dai padri di S. Domenico».
Dunque si chiedeva a padre Martini e ad altri maestri di esaminare «diligentemente» tale contratto e di decidere se l’Arighi era tenuto a rinunziare agli inviti che gli fossero fatti da S. Domenico. Alla lettera era allegato anche uno scritto dell’Arighi destinato a padre Martini. In essa, L’Arighi ci informa che l’8 giugno precedente padre Gaetano Asti, evidentemente un ecclesiastico che aveva importanti entrature nell’ambiente musicale bolognese, aveva inviato a «questo padre Botta» una missiva nella quale si distingueva «quanto sia stata generosa la benignità della signoria vostra per li miei rozzi componimenti dal suddetto esibitogli ed in particolare per il Magnificat qualificato con espressioni da me giammai intese». È ipotizzabile che si andasse formando allora il partito in favore di don Giacomo Arighi, contrastato vivacemente dai sostenitori del più giovane Pietro Chiarini (l’Arighi era nato nel 1704); nel seguito della lettera si ricorda infatti che
   «una muta di Littanie unica mia fatica di dodici anni sono nel tempo di mio soggiorno in Viadana mia patria da me per la prima volta esposte in questa chiesa dei reverendi padri di S. Domenico [chiesa oggi non più esistente], quali in vece di servirmi di merito mi avrebbero anzi procacciato l’universale vituperio se dalle persone che v’intervennero non fosse stato conosciuto essere impegno della maggior parte de professori di screditare, e colla quasi continua loro svogliatezza e colla particolare disposizione di qualcuno sopra gli altri impegnato a mio svantaggio nell’accompagnare un versetto à solo».
L’episodio era inteso probabilmente a mettere in cattiva luce l’attività dell’Arighi come compositore, atteso che le accuse nei suoi confronti erano assai circostanziate. Nel chiedere a padre Martini di salvarlo «dalle altrui opposizioni», l’Arighi enumera «i rilievi di cui si servono i miei emoli per criticare le mie debolezze»:
    «né il mio emolo né i suoi fautori vogliono in conto alcuno riconoscermi maestro di capella: questo solo basterebbe, a mio credere, per farle considerare la sequela delle censure colle quali vengono criticate le mie fatiche […] vengo condannato per tardo nel comporre» mentre il Chiarini «con straordinaria sollecitudine in brevissimo spazio di tempo compone e Messe e diversi salmi, di modo che li copisti stessi ànno pena a seguirlo nella velocità del comporre». […] «dicesi che il motivo di mia tardezza nello scrivere nasce da mancanza d’idea e che qualvolta produco al pubblico o messa o salmi od altro, o che non son parti di quella, o che son parti talmente confusi che non si distinguono da pasticci o che sono in parte fatiche dei miei defunti maestri».
Sarebbe stato più ragionevole far derivare la sua lentezza dal non essere egli stato «per lungo tempo in esercizio di questa professione per essermi ritrovato senza impiego». A padre Martini chiedeva di correggere le composizioni che gli stava per inviare («un salmo Laudate ultimamente da me fatto e una muta di littanie»), in modo che «tali correzioni serviranno a sicura guida». Questi punti elencati dall’Arighi diventano evidenti se si pensa che il Chiarini proveniva dall’ambiente teatrale veneziano dove aveva prodotto nel volger di pochi anni un numero considerevole di opere e che l’Arighi dal canto suo poteva sì vantare «di aver messo né suoi rozzi componimenti què precetti che tempo fa furonmi comunicati dalli sempre comendabili maestri signori Gonelli e Benzoni»” [14], ma nessuna opera né incarichi di prestigio. Quanto gli viene imputato è ravvisabile come differenza fra un compositore di teatro – e il Chiarini era sicuramente un personaggio che prometteva una carriera importante – e un musicista ecclesiastico di provincia, fatto di cui i suoi detrattori, anche all’interno della stessa Cattedrale, sembrano ben consapevoli; la velocità del comporre era tipica dell’operista, lo stile era aggiornato alle ultime novità, mentre le musiche dell’Arighi assomigliavano a quelle, antiquate, dei suoi maestri; le «parti confuse» si riferiscono forse alla complessità del contrappunto in rapporto alla espressività melodica del canto operistico.
Per contrastare il Chiarini, appoggiato dalla Fabbriceria, si mossero prima i padri Botta e Asti – come si è visto – quindi un padre Avanzini di Cremona e poi, con tutta l’autorità che gli derivava dalla carica, il vescovo di Cremona Alessandro Litta.
Il sostegno dato all’Arighi da parte di un vescovo proveniente dall’ambiente milanese assai sensibile al problema della musica in chiesa, è da configurarsi probabilmente anche come tentativo di combattere l’eccessiva commistione con il melodramma all’interno delle celebrazioni liturgiche; appoggiando un ecclesiastico anziché un laico per il posto di maestro di Cappella, il presule diocesano intendeva attuare la norma di san Carlo Borromeo secondo cui «Cantores, ubi fieri potest, clerici sint»” [15], non a caso citata  da padre Martini nel carteggio in questione [16]. La sua azione rivolta a correggere e istruire il clero lo aveva indotto già in occasione del sinodo del 1727 a richiamare canonici ed ecclesiastici obbligati al coro di «soddisfare alle parti dell’obbligo con modestia e religiosità e di osservare la disciplina del coro sì nel cantare li salmi, inni, cantici, ed altre preci, come nel celebrare le messe e nell’intervenire alle processioni ed insomma nel fare qualunque funzione ecclesiastica»” [17]. Nelle Sanctiones promulgate l’anno dopo si era espresso parimenti per una disciplina dei musici nelle sacre funzioni: «Chori in ingressu atque in egressu modeste, graviter, et ordine procedant. A colloquiis, eoque magis ab actibus sanctitati loci inconvenientibus abstineant; non ascendent sine juxta et rationabili causa, et non nisi prius impetrata praefecti licentia. Ita oportet etiam et gravitate, devotione, et exemplo caeteris praeluceant» [18].
Rivolgendosi a un esponente dell’Accademia Filarmonica probabilmente sapeva di avere a che fare con un organismo in sintonia con le sue convinzioni; fra l’Accademia e il cardinale bolognese Lambertini vi erano contatti stretti [19] e le idee di una necessità di distinguere la musica profana da quella di chiesa erano circolanti da tempo a Bologna; addirittura, di lì a breve tempo, si sarebbero concretizzate nell’enciclica papale Annus qui (1749).
Una forbita missiva del 6 agosto segna l’intervento ufficiale del vescovo Litta che chiede al Martini, a proposito di «alcuni componimenti» che si sottopongono «al di lei prudente sindacato del mio maestro di capella don Giacomo Arrighi» che si compiaccia non solo di esaminarle, ma anche di produrre un «pubblico attestato» e di sottoporle «sott’occhi di qualch’altro virtuoso perché maggiormente venisse corroborata da diversi attestati l’opera del mio maestro di capella à confusione dei suoi emoli». Come si può notare, l’Arighi non era maestro di Cappella effettivo, ma, per così dire, maestro in pectore. L’invito, forse verbalmente partito precedentemente, risulta alla stessa data già esaudito, visto che l’attestato a firma di diversi maestri di cappella bolognesi è del 6 agosto. Al documento segue una postilla datata 9 agosto a firma del notaio Giovanni Antonio Francesco Lodi che ne attesta l’autenticità. Una lettera dell’Arighi del 17 agosto riferisce che «nella prossima passata domenica mi fú da questo degnissimo padre Avanzini posto sotto gli occhi un attestato» sottoscritto dai maestri di cappella bolognesi; ringraziava quindi padre Martini e i compositori che si erano dichiarati a suo favore come pure per il proposito di aggregarlo all’Accademia Filarmonica; a questo però intendeva astenersi dal rispondere fintantoché, tramite il padre Asti e quindi padre Botta, «ne abbi de gli obblighi e privilegi qualche informazione»; supponendo che a padre Martini fosse arrivata la Messa [20] composta l’anno prima, lo pregava di esaminarla «con eguale bontà colla quale s’è degnato compatire gli altri rozzi componimenti». Una missiva di padre Avanzini datata 18 agosto ci dice che la mossa del partito arighiano era stata rintuzzata con il sospetto che «le composizioni  costì mandate non saranno dunque del sig. Arighi»; a questo punto «per confonder costoro anche nella loro ignorante malignità ha pensato Monsignore [vescovo] l’ultimo laccio per affogarli»: ossia di riavere da Bologna le composizioni dell’Arighi «ben sigillate» e di unire un attestato che dimostri che i maestri bolognesi hanno formato il loro giudizio su quelle carte. Monsignore poi avrebbe aperto il plico davanti ai professori «che altre volte le averanno cantate e suonate» e dopo averli fatti confessare davanti a due notai che quelle erano le musiche dell’Arighi, avrebbe letto il giudizio dei maestri bolognesi.
Nel frattempo un altro attestato, quello di Guidantonio Chiarini, veniva vergato a Bologna il 27 agosto e andava aggiungendosi ai precedenti.
Una seconda lettera del vescovo Litta, non compresa nella stampa, datata 21 settembre 1746, provvede a ringraziare padre Martini «per l’incomodo che è piaciuto darsi nel trasmettermi un attestato più specifico del primo a favore del sacerdote Arrighi mio maestro di capella ed a confusione maggiore de’ di lui emoli»; manifesta quindi il desiderio di «darlo alle stampe per fare vie più comparire la fondamentale ingenua vostra asserzione» e auspica quindi che altri «non oseranno né di cavillare né di produrre in iscritto i loro sentimenti che non poteranno se non manifestare maggiormente la loro ignoranza». .
Una breve lettera dell’11 ottobre di padre Martini a padre Avanzini ci dice di rifacimenti e messe a punto degli attestati; inoltre, «subito che i signori Accademici Filarmonici si saranno radunati per ascrivere il sig. Giacomo Antonio Arrighi» avrebbe trasmesso «la Patente». Riferisce poi di una lettera del vescovo Litta in cui costui intendeva dare alle stampe l’Attestato e anche qualche composizione, nel qual caso consigliava l’Agnus Dei delle Litanie «perché in questo modo potrebbe far conoscere qual sia il suo valore nell’arte del contrappunto e tal cosa qualifica e distingue un maestro di capella».
Soltanto verso la fine dell’anno doveva comparire la pubblicazione a stampa intitolata Attestati in difesa del signor D. Jacopo Antonio Arrighi maestro di Cappella della Cattedrale di Cremona, contenente tutta la serie di scritti raccolti da padre Martini in difesa dell’Arighi redatti a partire dall’inizio di agosto in poi. La pubblicazione, edita in Bologna per i tipi di Lelio Dalla Volpe, avvenne dopo il 27 ottobre del 1746, data del documento di aggregazione all’accademia Filarmonica contenuto nel volume di attestati. Il carteggio conserva le minute autografe degli interventi e delle versioni preparatorie della parte più corposa dell’opuscolo, ossia le Ragioni redatte da padre Martini.
L’opuscolo si apre con una lettera [21] anonima nella quale l’Arighi «vien qualificato per quel che è veramente, cioè buono, e valente maestro di Cappella», dunque «si rende giustizia al saggio discernimento di Monsignore Illustrissimo e Reverendissimo Litta vostro degnissimo vescovo, che come tale lo ha prescelto e fissato nella sua Cattedrale» e si giudica opportuno «che tutto il risultato di sì fatta disamina sia posto in pubblica luce col mezzo della stampa; affinché quindi più facilmente rilevar si possa da ogn’uno nell’autorevole, e ben fondato sentimento di questi Signori il valore del sopraddetto Signor D. Jacopo Arrighi». Lo scritto è datato 12 ottobre 1746 in Bologna. Ne è autore forse il padre Asti, almeno da quel che si può intendere dall’inizio «Come di singolare soddisfazione mi fu l’aderir da principio alle vostre premure col far qui in Bologna esaminare, e porre alla critica dell’Accademia de’ Filarmonici […] li diversi componimenti mandatimi dal Sig. D. Jacopo Arrighi», ricorrendo alla non nuova arma letteraria della libellistica anonima; in ogni caso è da ritenere l’intera questione non poteva essere partita dall’Arighi, la cui formazione era estranea all’ambiente bolognese e che si era dichiarato allievo di Gonelli e Benzoni [22]. Alla lettera introduttiva degli Attestati segue uno scritto, datato 6 agosto, firmato dall’imponente apparato di musicisti bolognesi: nel dichiarare l’Arighi «compositore capace […] per servire di Maestro di Cappella in qualsiasi occasione […] degno scolaro del non mai abbastanza lodato signor don Giuseppe Gonelli», si sottoscrivevano Giacomo Antonio Perti, Giuseppe Maria Carretti, Angelo Caroli, Giuseppe Matteo Alberti, e naturalmente frate Giovanni Battista Martini, tutti maestri di Cappella in Bologna. Il libello riporta quindi una «Ricognizione legale dell’Attestato» datata 9 agosto, in latino, del notaio Francesco Lodi, a riprova della massiccia e accurata operazione a sostegno all’Arighi. Il breve attestato del maestro bolognese Guidantonio Chiarini, datato 27 agosto, precede poi le Ragioni esposte dal P. Giovanni Battista Martini in conformazione de’ prodotti Attestati, ossia un’analisi delle composizioni a lui sottoposte (una Messa per F. a 4 voci concertata con strumenti, un Magnifica per D. 3# a 4 voci concertato con strumenti e una muta di Litanie per G. 3b a 4 voci concertata con strumenti), con riferimenti e citazioni tali da dimostrare l’eccellenza delle musiche dell’Arighi e la loro conformità di esse ai precetti di una lista impressionante di teorici antichi e moderni. La dottissima disquisizione addotta a sostegno della musica arighiana può sembrare oggi eccessiva, ma ci dice dell’insistenza e dell’autorevolezza di chi chiese l’appoggio alla causa e dell’importanza che doveva avere assunto la questione. La conclusione delle cinque pagine di analisi era che «il Signor don Arrighi merita d’esser annoverato tra Professori di Musica più celebri de’ nostri tempi, e giustamente gode il posto di mastro di Cappella del Duomo di Cremona non solamente perché egli è ecclesiastico e sacerdote […] ma ancora perché ha in se tutte quelle parti, che sono necessarie a un Mastro di Cappella Ecclesiastico e che lo qualificano per uomo eccellente nell’arte del Contrappunto».
 Lo scritto martiniano è datato 6 settembre 1746. A conclusione della raccolta di atti troviamo la stampa del documento di Aggregazione dell’Arighi fra i signori Accademici Filarmonici, datata 27 ottobre.
Gli avvenimenti dimostrano però che il braccio di ferro fra la Fabbriceria e il vescovo doveva risolversi a favore del Chiarini, il cui ricco curriculum artistico era fin troppo pesante nei confronti dell’Arighi; la stessa età avanzata del vescovo (il cui ritiro nel 1749 fu dovuto anche all’essere egli «esausto nelle forze») forse fece smussare la contrapposizione. Indubbiamente padre Martini adempì in modo ammirevole alla sollecitazione arrivata da Cremona, dispiegando un fuoco di fila di erudizione e attestati che avrebbero dovuto tranciare la contesa a favore dell’Arighi; i fatti registrati nei verbali della Fabbriceria contribuiscono a chiarire ulteriormente la vicenda e ci offrono non solo l’altro versante delle parti in causa, ma anche la conclusione della vertenza. Ripercorriamo lo stesso lasso di tempo esaminando le testimonianze relative alla controparte.
Il 17 luglio 1745 i prefetti incaricati di occuparsi della musica avevano affidato «l’incombenza per la fonzione della musica» al «signor Pietro Chiarini maestro di capella». Evidentemente la nomina fu fatta avvallando la continuità de facto fra Giovanni Antonio Torriani e il Chiarini, ma anche con ragioni di autonomia rispetto alla preferenza del vescovo Alessandro Litta per Giacomo Arighi. Appare abbastanza chiaro che la dicitura «maestro di cappella» poteva riferirsi genericamente a «impresario» o «organizzatore e coordinatore» dell’attività musicale unitamente a «compositore di musica» in relazione a cantanti o strumentisti; chi rivestiva quel ruolo doveva procacciare musicisti, proporli alla Fabbriceria per eventuali assunzioni stabili, istruirli e provvederli di partiture; quindi, il titolo poteva essere dato genericamente anche a chi fosse in grado di comporre musica, mentre una nomina in un organismo stabile avrebbe sancito un inquadramento e uno stipendio garantito; di fatto non viene mai espressamente nominato altro ruolo di maestro di Cappella differente da quello per le Laudi e dunque la presenza di un altro maestro incaricato per un’altra cappella, come ipotizzato da Elia Santoro [23], è ancora da dimostrare su base documentaria [24]. La nomina del maestro di Cappella delle Laudi era deputata alla Fabbriceria su proposta dei due consiglieri delegati alla musica, mentre l’organista era di nomina del Capitolo e il suo inquadramento andava confermato e ratificato da parte della Fabbriceria. Al vescovo, cui non sembra spettasse intervenire in alcuna nomina riguardo alla musica, competeva solo occasionalmente decidere dell’impiego di propri musicisti di fiducia. Infatti nella discussione del 17 luglio 1745, in cui si decideva a chi dare l’incarico di coordinare la musica per la solennità dell’Assunta, i prefetti riferirono che, con la nomina del Chiarini, «Monsignor Vescovo nostro possa avere in ciò qualche ripugnanza» e per evitare «qualunque sconcerto» avevano reso palese la loro intenzione di procedere alla nomina; dal vescovo riportarono in risposta che aveva la pretesa di avere il diritto «di far battere la musica dal suo maestro di capella don Giacomo Arighi» e che «non lascierà di dare ogni possibile facilità abile a rendere soddisfatta questa richiesta». I fabbriceri sembrano però altrettanto determinati sostenendo che «se Monsignore pretende che per tale festività dipenda dalla di lui soddisfazione l’elezione del maestro di capella per la fonzione pontificale [dell’Assunta, celebrazione che veniva curata con predisposizioni specifiche della Fabbriceria tanto nella commissione di musiche nuove quanto riguardo all’intervento occasionale di cantanti forestieri] in tal caso la Fabbrica secondo dispongono li suoi ordini stampati non è tenuta che a farli soministrare quattro delle migliori voci; ma siccome la Fabbrica fa musica a tutte sue spese la sudetta fonzione sembra che alla medesima asista le ragioni di valersi di quel maetro di capella che più le aggrada».
Il 16 aprile 1746 si ripropone la stessa questione e i termini non sembrano minimamente differenti: «affine di prevenire ogni dissapore che potrebbe insorgere circa l’elezione del sogetto il quale dovrà servire in qualità di maestro di capella per la prossima fonzione della solenne festa dell’Assunzione» la Fabbrica fornirebbe le quattro voci; «siccome trattasi di un pontificale riservato dagli ordini alla porpora del degnissimo prelato», incaricano i prefetti alla musica a far presente che se detta musica sarà pagata «a di lui spese», la Fabbrica fornirà le quattro voci «disposta dall’ordine di antica osservanza […] ma che qualunque volta non pensi di così operare» poiché la Fabbrica, avendo «le spese totali può per questo riguardo […] avere la soddisfazione della scelta del maestro di cappella».
Il 27 luglio 1746 si lessero due memoriali; uno di don Antonio Torriani, maestro di Cappella nel quale si spiegava che «attesa la sua decrepita età ha ritrovato nel signor Pietro Chiarini ogni prontezza fin qui in sostenere le sue veci» e dunque pregava la Fabbrica di permettere al Chiarini di proseguire nell’impiego continuando a versare gli emolumenti a lui, supplicando «d’accettare la (propria, n.d.r.) rinonzia». L’altro memoriale conteneva l’offerta del Chiarini che da parte sua avrebbe rilasciato parte dello stipendio al Torriani e accettava di essere «incassato» nell’impiego subentrando al Torriani con lo stesso stipendio dopo la morte del medesimo. La risposta della Fabbrica è «concordemente» di aderire pienamente alla proposta: «in compenso delle fatiche fin qui sostenute e dell’altre maggiori che dovranno contribuirsi da detto sig. Chiarini […] senza alcun emolumento» ulteriore e assicurando al medesimo «i consueti emolumenti fino a tanto che viverà [il Torriani]». Dunque, la scelta di Chiarini da parte della Fabbriceria era decisa e senza tentennamenti.
Ad aggiungere tensioni alle prese di posizione contrapposte fra vescovo e Fabbrica, intervenne anche una lettera «assai forte» del conte Giovanni Luca Pallavicini [25], governatore dello Stato di Milano, inviata al podestà di Cremona ed evidentemente comunicata alla Fabbrica. Vi si denunciava il fatto che «questa camera introduca spirito di fazione a favore del suo maestro di capella Pietro Chiarini e dei suoi dipendenti perché egli faccia delle fonzioni in altre chiese nelle quali questa Fabbrica non ha alcun diritto». Quest’ultima rispose in data 6 settembre 1746 che non aveva mai disposto «in impegni che non hanno relazione né dipendenza con la Fabbrica medesima», chiamandosi fuori da ogni altra precisazione. Forse questo scritto è collegabile ancora a manovre per tentare in intervenire nella nomina a maestro di Cappella nel momento in cui il Torriani sembrava prossimo al ritiro.
Il 15 agosto 1748 i prefetti accolgono l’istanza del «signor Chiarini maestro di Capella di questa Cattedrale affinché gli venissero corrisposti tutti quei emolumenti che godeva il fu signor don Giovanni Torriani»; conferiva anzi un aumento «considerato il morto e l’indefessa sua attenzione e altezza del suo serviggio». Ed ecco le parole dell’atto ufficiale: «Li signori Prefetti qui congregati considerato il merito del sodetto signor Chiarini e l’indefessa sua attenzione ed esattezza del suo serviggio per questa chiesa Cattedrale hanno ordinato che dal giorno d’oggi in divenire se le cresca il salario di musica in quella medesima guisa che si pratticò con il fu signor Torriani, e ciò a viva voce» [26].
Prima di riferire l’attività in teatro del Chiarini riportiamo le notizie rinvenute che lo riguardano relativamente all’incarico in Cattedrale, benché scandiscano una normale attività professionale al servizio della musica in chiesa.
Il 15 agosto 1749 il Chiarini si propose anche come cantante per rimpiazzare il supplente quando si fosse resa vacante «qualche voce musicale»; il fatto è da ascriversi a un periodo di particolari ristrettezze economiche della Fabbriceria, poiché il cancelliere lo aveva informato dell’intenzione di non proseguire nel pagamento del salario di musico, essendo la Cappella «provveduta di sufficiente numero di voci» ed avendo prodotto il Chiarini una rinuncia, altrimenti non specificata, accettata dalla Fabbrica.
Il 15 gennaio 1751 il Chiarini informava la Fabbrica delle qualità di Francesco Piccoli che aveva chiesto di subentrare al posto del defunto De Angelis come contralto. L’ammissione fu approvata tramite votazione con bussolotti.
Un’eco del contrasto che si era avuto qualche anno prima si registra nel 1754: Pietro Chiarini, alla scadenza del novennio di durata della carica di organista della Cattedrale, presentò la domanda per essere assunto a tal incarico, forse perché più remunerativo di quello di maestro di Cappella delle Laudi [27]: «(Avendo) pressente l’umilissimo servitore delle signorie loro illustrissime e reverendissime Pietro Chiarini che sia in scadenza il tempo per cui fù dalle medesime eletto all’incombenza d’organista di codesto reverendo capitolo il molto reverendo signor don Giacomo Arighi, e bramoso il supplicante di poter anch’esso distinguersi nel serviggio pregiabilissimo delle stesse signorie loro illustrissime e reverendissime, alle medesime avvanza questo suo riverente ricorso. Umilmente supplicandole voler degnarsi eleggere l’oratore alla sodetta incombenza d’organista per quel tempo che alle signorie loro illustrissime e reverendissime sarà più in grado, come umilmente implora e spera, e della grazia ecc.» (senza firma).
La risposta è datata 30 aprile 1754: «Lecto coram reverendissimo capitulo suplici libello domini Petri Chiarini, petentis admitti ad munus organistae in hac ecclesia Cathedrali; et proposito dubio an esset incoata nova conductio per reverendum dominum Jacobum Arighi, vigore pacti, quod legitur in istrumento electionis: idcirco ad tollenda dissidia quae oriri possent, censuit idem capitulum dictum reverendum dominum Arighi esse confirmandum. Caeterum comendandum eiusdem domini Chiarini desiderium inserviendi capitulo, cui ultro se obtulit; et propterea coelebri professori se gratum semper fore promittit et itaque ecc.». Il 2 maggio seguente l’Arighi «sacerdos huius cremonensis diocesis et organista optimus ecclesiae nostrae Cathedralis» viene confermato ufficialmente nell’incarico «per instrumentum a publico notario rogandum eiusdem tenoris quo factum fuit instrumentum eius electionis» [28].
Il 4 aprile 1764, avendo la Fabbrica deciso di ridurre le voci della Cappella da otto a sei, togliendo quindi due salari in modo da aumentare i restanti sei, chiede quali cantanti siano «di migliore particolarità ed abilità vale a dire un buon soprano ed un buono contralto». Il Chiarini, incaricato di trovare due voci adatte, aveva informato di aver trovato «un buono contralto» a Bologna che chiedeva 40 filippi (scudi d’argento) e libertà di cantare «ove gli pareva e piacesse a Carnevale», ossia nelle stagioni teatrali. La Fabbrica decise di soprassedere per qualche tempo, preferendo per quella cifra un soprano «d’un peso non ordinario».
Il 7 febbraio 1765 [29] si registra un episodio curioso: «Sentito il disordine succeduto domenica scorsa nella Cattedrale per essersi sonato l’organo per una fonzione particolare straordinaria senza il dovuto permesso di questa camera, hanno pregato il nobile Carlo Torresani di voler dimandare a sé il molto revendo signor. don Giacomo Arighi organista e parlarà secondo la mente di questa camera». Evidentemente non era stato accordato il permesso necessario e si decideva che «in avvenire non s’accordino licenze di sorta senza i dovuti memoriali». Ma quanto avvenuto era dovuto a precisa volontà del Capitolo, se il 22 febbraio seguente si riproponeva la stessa vertenza «insorta per rapporto al suono dell’organo nelle funzioni straordinarie che si fanno nella Cattedrale a richiesta di particolari divoti»; i prefetti erano quindi invitati a trattare con il Capitolo per ripristinare «la premiera buona armonia». In qualche modo, dunque,le iniziative del Capitolo in ordine alla musica dovevano essere approvate dalla Fabbrica.
Il 1 agosto 1772 il Francesco Dusi, ingegnere della Fabbrica, fu incaricato di «visitare l’organo piccolo esistente nella Cattedrale» e di farne relazione.
Il 12 marzo 1774 il Chiarini presentava un memoriale nel quale, «poiché egli ha l’onore di servire in qualità di maestro di musica per il corso di ben ventisei anni continui questa illustrissima Fabbrica per le sante funzioni, con l’annua prestazione di dieci gigliati per il suo onorario delle Laudi, cioè del sabbato e di tutte le vigile della Beata Vergine», informava che gli onorari degli altri virtuosi presenti nella Cappella erano superiori al suo. In particolare era stato assunto un «altro virtuoso di musica per il canto» che percepiva quindici zecchini; «da tale notizia» egli prendeva dunque coraggio di chiedere un aumento «in vista anche della carica che occupa» in quella somma «che alle signorie illustrissime più beneficia».
Anche il 18 agosto 1776 il Chiarini lamentava il fatto che «allo Schiroli (soprano della Cappella e solista in teatro nelle stagioni 1769 e 1771, n.d.r.) sii stato accresciuto l’onorario e che in conseguenza sia stato uguagliato al Lopez (solista nella Cappella e in teatro nelle stagioni 1774 e 1776, n.d.r.)» e dunque ne rappresentava alla Fabbriceria «il disdoro che a lui ne viene come maestro di essere considerato inferiore ai musici nell’onorario», chiedendo «per atto di mera equità» «quell’accrescimento dell’annuale onorario che crederanno opportuno». I documenti presentano in calce la firma autografa del maestro. L’aumento gli fu concesso e lo stipendio fu equiparato a quello dei solisti (450 lire annue).
In seguito il Chiarini dovette accusare infermità e progressivamente cedere le funzioni all’Arighi, come si desume anche dalla nota del 18 febbraio 1777, quando si decise di far accomodare l’organo da Antonio Picenardi, sentito il parere di don Giacomo Arighi, definito «maestro di capella».
Il 17 aprile 1777 morì e il suo corpo fu tumulato il giorno seguente nella chiesa di S. Agostino.
Quello stesso giorno 18 aprile 1777 fu nominato il nuovo maestro: «Attesa la morte nè giorni scorsi seguita del signor Pietro Chiarini maestro di capella di questa insigne Fabbrica è stato ordinato di avvisare il molto reverendo don Giacomo Arighi maestro di capella acciò interinalmente continui a quanto sinora si è prestato per detto fu signor Chiarini durante la sua infermità accordando al medesimo i soliti emolumenti».
Se l’attività del Chiarini in Cattedrale è ben documentata, altrettanto lo è quella in teatro [30]. A Venezia egli aveva debuttato con Argenide (dramma per musica in tre atti, testo di Alvise Giusti, teatro S. Angelo, autunno 1738), cui fece seguire Achille in Sciro (dramma per musica in tre atti, testo di Metastasio, teatro S. Angelo, carnevale 1739), Statira (dramma per musica in tre atti, testo di Carlo Goldoni, teatro S. Samuele, fiera dell’Acensione 1741), l’intermezzo Il finto pazzo (C. Goldoni da La contadina astuta di Tommaso Mariani, rappresentato insieme a Statira), Meride e Selinunte (dramma per musica in tre atti, testo di A. Zeno, S. Giovanni Grisostomo, carnevale 1743-1744), Il geloso schernito (intermezzo, testo di G. Bertati, S. Mosè, autunno 1746, attribuito per lungo tempo a G.B. Pergolesi) [31]. A Brescia aveva fatto rappresentare Arianna e Teseo (testo da Teseo in Creta di Pietro Pariati, carnevale 1739), La Didone abbandonata (dramma per musica, testo di Metastasio, 1740), Isippile (Metastasio, carnevale 1740); a Verona nelle stagioni di carnevale del 1741-1742 erano andati in scena Artaserse (dramma per musica in tre atti, testo di Metastasio, Accademia Filarmonica), I fratelli riconosciuti (dramma per musica, testo da Francesco Silvani, Accademia Filarmonica, gennaio 1743), Alessandro nell’Indie (dramma per musica in tre atti, testo di Metastasio, Accademia Filarmonica, carnevale 1744-5); a Genova fece rappresentare Amor fa l’uomo cieco (intermezzo in due parti, testo di C. Goldoni, S. Agostino, 1742 insieme ad Artaserse – musica sostanzialmente identica a Il finto pazzo; ripreso a Verona nel carnevale 1741-1742) e l’oratorio Isacco figura del Redentore (testo di Metastasio, S. Filippo Neri, 1742). A Venezia egli aveva inoltre presentato in S. Maria della Fava un oratorio Per la festività del santissimo Natale (1744) su libretto di Metastasio.
Egli fu presente sulla scena teatrale cremonese dal 1749 dirigendo stabilmente l’orchestra al cembalo e con la rappresentazione delle proprie opere Artaserse (1749), La Didone abbandonata (1756), Ezio (1757, solo i recitativi su testi di Metastasio, le arie erano di Giovanni e Andrea Andreoli) e l’intermezzo in tre parti La donna dottoressa (1754). Nel 1760 figura come direttore al cembalo. Compare anche come impresario durante il carnevale del 1764 per l’opera Gli uccellatori su libretto di Goldoni e musica di Floriano Gassmann. Nel 1770 al cembalo sedeva Giacomo Arighi (alla rappresentazione de La clemenza di Tito di Michel’Angelo Valentini del 20 gennaio assistette il quattordicenne Mozart con il padre Leopold, di passaggio da Cremona per Milano).
Pietro Chiarini fu un protagonista della scena musicale cremonese per oltre un ventennio, importando in questa città le novità che andavano svolgendosi attorno alla metà del Settecento nei teatri e in particolare diffondendo una influenza veneta che traspare dalla forte presenza nei cartelloni di libretti e di opere di musicisti gravitanti in area veneziana (fra cui il Galuppi e soprattutto quel Goldoni con cui aveva collaborato in diversi suoi lavori veneziani), oltre che da particolarità di sue partiture. La sua presenza a Cremona coincise con l’inaugurazione del teatro Nazari nel 1747 e forse fu  proprio colui che, in virtù della sua attività pregressa e delle sue conoscenze, diede un contributo decisivo all’avvio e all’organizzazione delle rappresentazioni. Della sua produzione di operista resta, almeno per ora, solamente l’intermezzo Il geloso schernito, mentre ci è giunta qualche partitura isolata di musica per tastiera. Riguardo a queste ultime, l’affermazione del La Borde secondo cui l’autore era «abile professionista e buon esecutore al cembalo» [32] si trova pienamente confermata dall’analisi tecnica; se qualche sua composizione ha l’apparenza di lavoro occasionale – è il caso della breve Sonata in Fa della raccolta del Poffa [33] o della Marcia di Darmstadt, l’una forse scritta all’arrivo a Cremona in ottemperanza alle richieste di un committente non propriamente dotato musicalmente, l’altra trascritta forse da qualche opera teatrale – le restanti  hanno un respiro e uno smalto di sicuro mestiere.
Prima di addentrarci in qualche annotazione analitica forniamo la descrizione delle musiche per tastiera oggi disponibili.
La Sonata del Sig. Chiarini con violoncello, cornetti, e tromboncini in risposta proviene dalla Biblioteca del Conservatorio di S. Pietro a Majella (I-Nc Ms.70); l’Allegro in Sib proviene dalle 34 Sonatas of cimbalo / di Felice Mazzinghi, Carlo Lagni, Dom. Alberti, Baldass. Galuppi, Gio. Martini, Gius. Jozzi, Pietro Chiarini,, Ant.Bernasconi, Beatrice Mattei, Paolo Gardini (The British Library-5595/1); la Sonata I / Composta dal Sig. Pietro Chiarini, maestro di Capella della città di Cremona è contenuta nella Raccolta musicale / contenente /VI Sonate / per il cembalo solo / Opera V / a Norimberga / alle spese di Giovanni Ulrico Haffner, Sonatore di Liuto (1765) e proviene dalla British Library (R.M.16.a.8.(2.) [34].
La Sinfonia del Sig. Pietro Chiarino proviene dalla Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo (Fondo Mayr, 356/23). Originariamente per Violino I, II, Violetta, Basso, Corni e Cembalo, è possibile eseguirla alla tastiera operando una trascrizione secondo gli usi del tempo per cui la destinazione strumentale era da intendere latu sensu.
La Marsch per il cembalo (von Chiarini) proviene da Darmstadt, Hessische Landes, (D-Ds Mus. Ms. 1223/32).
La Sonata in F. Terza maggiore di Pietro Chiarini –già pubblicata in Organo in Lombardia nel settecento a cura di Marco Rossi e Gian Nicola Vessia, Edizioni Carrara Bergamo, 1998– è  tratta dal LIBRO / di Suonate / D’Organo di / Diversi Autori. / ad uso di / Giacomo Poffa Da / Cremona, l’anno / 1743, manoscritto conservato presso la Biblioteca Koninklijk Conservatorium – Conservatoire Royal, Bruxelles (B-Bc 15.138 già XY 15.138 FRW).
La Sonata con violoncello, cornetti e tromboncini in risposta appartiene sicuramente al periodo veneziano, essendo le indicazioni riferibili chiaramente a registri ad ancia tipici dell’organaria veneta (del tutto assenti, per contro, in area cremonese); anche la struttura musicale è rapportabile all’ambiente veneziano: se la notevole lunghezza del brano è inusuale rispetto agli standard più diffusi all’epoca, il procedimento a dialogo fra registri è indice di un colorismo che trova la sua matrice nella musica strumentale di un Galuppi, per esempio. Stesso discorso vale per la piccola Sonata in Fa della raccolta Poffa, che, anche nella sua breve concisione, presenta i tratti delle figurazioni violinistiche assai in voga nell’ambiente veneziano. Più in sintonia con l’Esercizio per tastiera [35]  è la Sonata in Sib: se il tema iniziale appare disegnato secondo standard abbastanza comuni, la lunga sezione precedente la ripresa nel tono iniziale (più di cinque pagine nell’edizione moderna) sembra una cadenza per tastiera in cui il compositore intende dimostrare la sua abilità manuale con passaggi virtuosistici e riassumere i dati tecnici delle sue maniere esecutive. Più elaborata è invece la Sonata pubblicata per i tipi di Haffner a Norimberga [36]; forse la committenza internazionale indusse l’autore a scrivere in più movimenti (inusuale per le composizioni italiane per tastiera, benché occorre specificare che un mercato editoriale vero e proprio italiano di musica per tastiera non esisteva) e in modo assai accurato; ne è prova la ricca ornamentazione, la presenza di legature e segni di articolazione [37]; la strutturazione è ancorata alla forma bipartita, mentre il bitematismo è ancora poco pronunciato; singolare il Minuetto conclusivo, le cui figurazioni virtuosistiche lo rendono abbastanza distante dalla compassata allure che aveva  in generale questa forma all’epoca.
La Sinfonia in Re maggiore presenta alcuni passi a note ribattute, successioni e frasi in eco che rimandano a una matrice veneziana, come del resto la struttura generale in tre tempi in cui al brillante Allegro iniziale seguono un patetico Andante e una saporosa giga finale.
FAUSTO CAPORALI
Per la dott.ssa Rita Barbisotti
  • Volevo ribadire, per non creare disguidi, che questo articolo è comparso con qualche modifica come prefazione alla pubblicazione degli inediti per tastiera del Chiarini presso Armelin di Padova.
  • Le modifiche sono state fatte.
  • Infra si riferisce al prosieguo del testo
  • Per i nomi Asti e Botta non è stato possibile riscontrare a chi corrispondessero con esattezza; Asti era a Bologna (forse parente del Can. Asti di Cremona?) e Padre Botta (non trovo scritto il nome) era forse un religioso di S. Domenico. Il Lancetti non offre delucidazioni in merito.
  • Ridurre a infratesto il carteggio della questione Arighi è difficile, essendo già un riassunto. La parte non è stata ridotta perché, benché citata in diversi libri, non è mai stata riportata per intero né raccontata.
  • Nel Liborio non ho trovato notizie in più rispetto al Grove; il volume Musica e Musicisti nel Duomo di Cremona arriva fino al 1666 e non offre materiale documentario per il periodo seguente.

NOTE
[1] Archivio Storico Diocesano di Cremona (d’ora in poi: ASDCr), Archivio Fabbriceria della Cattedrale, Organisti e maestri di Cappella.
[2] Arighi è la grafia corrispondente alla firma autografa che compare nei Libri provisionum della Fabbriceria, mentre Arrighi è la grafia dei documenti bolognesi.
[3] ASDCr, ibidem.
[4] ASDCr, ibidem.
[5] Il Fétis (Biographie universelle des musiciens et bibliographie générale de la Musique, Les Fils de B. Schott Editeurs, Bruxelles 1836, III, p. 120), seguito dai biografi successivi, lo dice «né à Brescia en 1717»; in realtà il luogo di nascita fu Asola, allora in territorio bresciano, e il giorno il 29 giugno 1712: «Adi 30 giugno 1712, Pietro figlio del signor tenente Bartolomeo Chiarini, e della signora Domitilla di lui moglie, nato il giorno avanti fu battezzato per me don Giulio delli Antonii canonico. Compadrino fu il signor Michele Angelo Scalvi» (Archivio Parrocchiale di Asola, Registro battezzati 1708-1729 – D). Il padre, militare di professione, morì il 29 gennaio 1714 all’età di settantuno anni «incirca»; ebbe numerosi figli: Isabella (1691-1693), Caterina (1700-1704), Francesco ed Elisabetta (nati e morti il 7 agosto 1702), Antonio Maria (17 settembre 1703 – 10 gennaio 1775; organista nella Cattedrale di Asola dal 1735), Francesco (6 ottobre 1709 – 8 marzo 1757; organista dal 1733 e poi canonico nella stessa Cattedrale). Le notizie su Pietro e sulla famiglia Chiarini sono state cortesemente reperite dalla responsabile dell’Archivio Parrocchiale di Asola sig.ra Matilde Monteverdi.
Sulla scorta di un’indicazione di Elia Santoro, seguendo le carte relative ai passaggi di proprietà (Archivio di Stato di Cremona – d’ora in poi: ASCr –, Catasto, Petizioni Città di Cremona, 123-124) di una casa sita al n. 157 di piazza della Pescheria (l’attuale piazza S. Antonio Maria Zaccaria fra Battistero, facciata sud del Duomo e Palazzo Vescovile), si è potuto reperire il testamento del Chiarini, redatto il 13 agosto 1776 (ASCr, Notarile, Notaio Simoni Francesco Saverio, b. 7302). Da esso si ricava che il musicista, figlio di Bartolo, era nato ad Asola «territorio bresciano», e risiedeva da più anni nella parrocchia di S. Agostino. Egli aveva possessi sia in Cremona che in Asola e, sposata in seconde nozze Anna Maria Carotti di trenta anni più giovane di lui e non avendo figli, la nominava erede universale. Per poterle lasciare l’intero patrimonio, la cui consistenza lo rendeva sicuramente benestante, aveva dovuto chiedere al Senato della città di Milano una deroga dai vigenti statuti della città di Cremona che l’avrebbero obbligato a lasciare alla moglie, in assenza di figli, un quarto delle sostanze. Nel caso che la moglie avesse contratto nuove nozze dopo la propria morte, i suoi beni sarebbero stati divisi fra le nipoti Domitilla e Marianna, figlie del fratello Antonio. Dispose anche un lascito all’Ospedale Maggiore di 300 monete, esprimendo il desiderio di essere sepolto nella chiesa di S. Agostino. Dallo stesso documento si viene a sapere che il secondo matrimonio era stato contratto il 21 febbraio 1765 in Asola (il 19 febbraio nei registri dell’Archivio Parrocchiale di Asola). La prima moglie, Anna Maria Mazzoni, «uxor domini Petri Chiarini», era deceduta il 15 marzo 1762 all’età di cinquanta anni (ASDCr, S.S. Agostino e Giacomo, Libro terzo dei morti, IV-3, p. 76). Un documento allegato al testamento (Allegato A.) fornisce qualche ulteriore dettaglio. La richiesta di deroga dagli Statuti della città di Cremona, redatto per conto dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria «Romanorum Imperatrix Regina Hungariae, Bohemiae et Mediolani Dux» in data 31 luglio 1776, ci informa che «Petrus Chiarini annorum sexaginta oriundus loci Asolae Brixiensis districtis, ac humillimus Ministrae servus, triginta ab hinc annis domicilium statuit in civitate Cremonae, ubi musicale magisterium exercet»; dunque, il trasferimento a Cremona non avvenne prima del 1746. L’indicazione ulteriore che «Habet insuper utile dominium domum propriae habitationis in dicta civitate, iuris directi venerandae societatis B. M. V. Rosarii erecta in ecclesia divi Dominici eiusdem urbis, verum etiam hoc cadere nequit sub eius dispositione, cum talis emphiteusis (ex conventis) durare non potest ultra vitam naturalem supplicantis» ci dice che egli abitava in casa non propria con contratto di enfiteusi; la dimora in questione, di proprietà della Compagnia della Beata Vergine del Rosario, era ubicata all’angolo fra l’attuale via Cadolini e via Anguissola, verso la chiesa di S. Agostino, sotto la cui parrocchia (SS. Giacomo in Breda ed Agostino) al n. 28 si trovava (ASCr, Catastino Città di Cremona, 102) e corrisponde probabilmente a quella esistente attualmente. Fra i beni posseduti dal Chiarini era compreso anche il capitale investito in un negozio di pellami, ossia la casa sita in piazza della Pescheria che la moglie vendette nel 1781 all’affittuario Gaetano Mondini, e una somma quantificabile in almeno 9800 lire in moneta veneta. La morte è così registrata nell’archivio della parrocchia di S. Agostino: «Anno Domini millesimo septingentesimo septuagesimo septimo, die decima septimo aprilis. Dominus Petrus Chiarini vir dominae Marie Charotti quondam Bartolomei aetatis suae annorum 60 omnibus sacramentis ecclesiae refectus obiit in Domino eiusque cadaver sociante a reverendo presbitero Benedicto Malvezzi ad hanc parochialem ecclesiam delatum fuit die sequenti et absolutis funeribus tumulatum fuit in parochiali sepulchro» (ASDCr, Libro quarto de morti della Parrocchia di S. Agostino 1764-1809, SS. Agostino e Giacomo IV-4, p. 46). Si ringrazia la dott. Angela Bellardi per la preziosa collaborazione.
Resterebbe da chiarire dove Pietro si sia formato musicalmente; gli stretti legami che storicamente vi furono fra Asola e Venezia potrebbero far ipotizzare una formazione nella stessa città lagunare dove poi iniziò assai presto la carriera di operista. Notizie sull’ambiente musicale asolano si trovano in: Paola Cirani, L’organo della chiesa di Sant’Andrea ad Asola, “Postumia”, Annali del museo d’Arte Moderna di Gazoldo degli Ippoliti, a. IX, n.9, 1998-1999.
[6] Elia Santoro, I Teatri di Cremona Nazari-Concordia-Ponchielli a cura di Roberto Fiorentini e Laura Pietrantoni, Cremona, Turris, 1995, p. 136 e ss. Gli stessi dati compaiono in: Id., Il teatro di Cremona, 4 voll. Edizion Pizzorni, Cremona 1969. Si veda anche Francesco Maria Liborio, La scena della città. Rappresentazioni sceniche nel teatro di Cremona 1748-1900 Editrice Turris, 1994.
[7] ASDCr, Atti di congregazione, n. 17, 2258 (1738-1763), p. 4 (ad diem 23 febbraio 1737); subito dopo è specificato che «per la solita annuale festività dell’Assonta non possano detti sig.ri come sopra eletti far invito né accordo di parti forastiere ma volendo così fare ne facciano parola à questa congregazione per averne e così eseguire le di lei rissoluzioni». Da questo volume riportante i verbali delle sedute della Fabbriceria sono tratte le notizie seguenti.
[8] Santoro, I Teatri cit., p. 32 e p. 45.
[9] ASDCr, Atti di congregazione cit., ad diem.
[10] Archivio del Capitolo della Cattedrale di Cremona (d’ora in poi: ACCCr), Ordinazioni Capitolari, 1741-1762, IV: «22 Augusti 1742. Convocato et congregato reverendissimo Capitulo confirmatus fuit reverendus dominus Josephus Gonella in munere organista cum omnibus oneribus et emolumentis ut anno superiore, ad normam precedentis ordinationis, scilicet pro novennio proxime futuro ab hac die 22 augusti incipiendo». Per la modalità di assunzione da parte del Capitolo si veda anche Giuseppe Gonelli, Composizioni per organo, a cura di Fausto Caporali, Padova, Armelin, 2004, p. I. Le notizie provenienti dall’archivio capitolare mi sono state cortesemente comunicate da don Antonio Trabucchi.
[11] ACCCr, Ordinazioni Capitolari, 1741-1762, IV p. 13: «1745 12 aprilis. Convocato et congregato more solito reverendissimo Capitulo ut per mortem domini Josephi Gonella reverendissimi Canonici eligerunt aliquem in munere ut vocant organista huius Cathedralis; obtinuit suffragia 17  favorabilia, et 7 solum contraria revendus dominus Jacobus Arrighi, cum omnibus honoribus, oneribus et emolumentis huic muneri a reverendissimo Capitulo concedi solitis».
[12] Civico Museo Bibliografico Musicale del Conservatorio «G.B. Martini» di Bologna (d’ora in poi: CMBM Martini), Lettere e documenti sulla questione Arrighi, Ep. I, 30, Tomo XXXV, 27-42. Si ringrazia la Dott.ssa Barbara Ventura per la preziosa collaborazione.
[13] CMBM Martini, Lettere e documenti sulla questione Arrighi, Ep. I, 30, 33.
[14] CMBM Martini, ibidem.
[15] Concil. Mediol. I Anno Christi 1565. LI. De musica et cantoribus.
[16] L’intensa attività del vescovo milanese Alessandro Litta (a Cremona dal 22 agosto 1718 al 12 settembre 1749, morto il 4 marzo 1754 e sepolto nella cappella della Madonna del Popolo nella Cattedrale cremonese) aveva toccato anche la musica; egli aveva favorito il coinvolgimento dei fedeli e sentito l’esigenza di riforma della vita religiosa, si era preoccupato vivamente della formazione del clero, istituendo, fra l’altro, un corso di canto gregoriano; incrementò inoltre la tradizione del culto delle Laudi della Madonna, non aumentando i musicisti o gli apparati scenici, ma introducendo un sermone e l’esposizione e benedizione eucaristica. Per un breve ma incisivo quadro della sua attività si veda: Andrea Foglia, Istituzioni ecclesiastiche e vita religiosa nel XVIII secolo, in Storia religiosa della Lombardia- Diocesi di Cremona, Brescia, La Scuola, 1998, pp. 217-221.
[17] Alessandro Litta, Raccordi dati, e fatti distribuire in occasione della sinodo diocesana celebrata il 28, 29, 30 aprile 1727 in Cremona, Cremona, Gaetano Ferrari, 1727, p. 8.
[18] Sanctiones editae ac promulgatae in cremonensi dioecesana Synodo, Cremona, Ricchini,1728, De capitulis et canonicis ac disciplina chori, p. 51.
[19] Prospero Lambertini, eletto papa col nome di Benedetto XIV nel 1749, si era occupato dei problemi della musica in chiesa a Bologna almeno fin dal 1740, quando con una Notificazione del 8 febbraio aveva tentato di obbligare i canonici della cattedrale ad «assistere in coro con ogni riverenza, silenzio e modestia… ed a salmeggiare con devozione di cuore, e proporzione di voce, senza precipitazione, o troncamento di parole, in modo che una parte del coro non cominci il versetto, prima che l’altro sia finito, acciò il popolo possa intendere quello che si canta, ed essere eccitato a devozione» (Raccolta di alcune notificazioni, Venezia 1760, in John Brown, Dell’origine, unione e forza, in “La musica degli antichi e la musica dei moderni, Il Settecento, Franco Angeli, Milano 1989, p. 556). Un secondo intervento è del 27 luglio 1746: gli Ordini sopra il rispetto delle Chiese della città di Bologna invitano a non scambiare la chiesa con il teatro o la sala da ballo,  evitando frastuoni, sfoggi, indecenze (Lettere, Brevi, Chirografi, Bologna, vol. II, in V. Donella La musica in chiesa nei secoli XVII-XVII-XVIII, Edizioni Carrara, Bergamo 1995, p.144). Un Breve apostolico del 22 febbraio 1749, nel quale fra l’altro si concedevano all’Accademia Filarmonica bolognese gli stessi privilegi della Congregazione dei Musici di Roma, stigmatizzava «l’eccesso di insolenza» per cui «ne’ templi sacrosanti…sembri cantarsi e applaudirsi, non senza scandalo dei buoni, piuttosto i suoni e le canzonette teatri, le spezzate e molli modulazioni delle Tragedie e delle Commedie che sacri salmi, Inni e Cantici spirituali». Infine vi è l’enciclica Annus qui del 19 febbraio 1949 che richiama alla necessità di ben cantare la salmodia, elogia il canto gregoriano che «qualora sia ben eseguito, viene ascoltato volentieri dalla gente pia e preferito al canto figurato», afferma solennemente che «il canto in chiesa non deve risentire di profanità, di mondanità o di teatralità», raccomanda l’intelligenza delle parole nell’esecuzione dei mottetti e di non mutare i testi degli inni (in V. Donella, La musica in chiesa cit. p.145). Il pronunciamento papale non sortì comunque alcun effetto sulla musica in chiesa, la cui commistione con la musica profana, tolto un generico stile compositivo accademico “alla palestrina” idealizzato dai vari J. Fux, G. B. Martini, M. Gerber, E. T. Hoffman, A. Thibaut,  continuò fino al Motu proprio di Pio X del 1903.
[20] Un appunto isolato del carteggio di pugno dell’Arighi provvede curiosamente a ringraziare «chi avrà la pena di esaminare la qui annessa Messa» e prega di scusare gli errori del copista «non avendo avuto tempo chi scrive di rivedere la copia» e anche di «condonare li maggiori (errori) nei quali possa esser trascorso il compositore sodetto quale ha secondato in qualche cosa il gusto lombardo per accomodarsi al genio del paese»
[21] Questa la dicitura esatta: «Lettera del Sig. N.N. al Sig. N.N. di Cremona amico carissimo».
[22] In una lettera del 31 marzo 1764 sempre indirizzata a padre Martini elenca anche, come suoi insegnanti, il romano Bernardo Caffi e un abate «Ciapetta», specificando di essere nativo di Viadana ma di essere stato istruito a Cremona (CMBM Martini, Lettere e documenti sulla questione Arrighi, Ep. L. 117, 5).
[23] Santoro, I Teatri cit., p. 30.
[24] La carica novennale di organista della Cattedrale per celebrazioni spettanti al Capitolo veniva ad essere cumulata con quella di organista della Cappella delle Laudi, ma non risulta, almeno fino a prova contraria, che riguardasse anche un’altra Cappella.
[25] Sull’intervento di questa autorità per la costruzione del teatro Nazari e per le vicende del teatro stesso vedi Santoro, I Teatri cit., p. 20 e ss. Ricordiamo per inciso che il Conte Pallavicini protesse e aiutò Mozart nel viaggio in Italia del 1769-70.
[26] L’assunzione per cooptazione e non per concorso doveva essere la norma se anni dopo, in un proprio memoriale-richiesta del 17 settembre 1794 per subentrare a sua volta al posto di maestro di Cappella, Giuseppe Poffa sosteneva che «sino da molti anni fa all’epoca della morte del maestro Pietro Chiarini (il sottoscritto) aspirò all’onore di servire come maestro di capella la veneranda insigne Fabbrica» e rinnovava perciò le sue preghiere e l’offerta «nell’avanzata età del signor maestro don Giacomo Arighi», aspirando «unicamente alla distinzione della carica» e rinunciando «a qualunque emolumento durante la sopravvenienza del rispettato maestro che ora ne gode». Pietro Mezzadri figura dal 19 giugno 1796 come organista, dunque prima della morte di Giacomo Arighi avvenuta l’anno seguente.
[27] All’organista della Cattedrale e delle Laudi erano corrisposte, come s’è visto, 600 lire annue, quasi il doppio del maestro di Cappella delle Laudi.
[28] ACCCr, ibidem.
[29] D’ora in poi le notizie sono desunte da ASDCr, Atti di congregazione, 2259, n. 18 (1763-1779).
[30] The New Grove Dictionary of Music and Musicians², V, p. 595-6, sub voce. Per un resoconto dell’attività operistica svolta in Cremona si veda Santoro, I Teatri cit., pp. 41-55.
[31] Un’incisione effettuata dal vivo nel Teatrino di Villa Olmo il 17 luglio 1956 da parte dei Commedianti in Musica della Cetra (complesso strumentale di quel teatro) diretti da Ennio Gerelli, con interpreti Dino Mantovani (Masacco) e Elda Ribetti (Dorina) è stata riedita più volte (Marner-Fonit-Mono 5050466-3243-2-0; Urania 279-2005) e l’intermezzo ha avuto diverse riprese in tempi recenti.
[32] Jean Benjamin François La Borde fu violinista, compositore e musicografo (5.IX.1734 – 22.VII.1794); scrisse opéras-comiques e parodie per il teatro e contemporaneamente fu alto funzionario sotto Luigi XV; compilò un Essai sur la musique ancienne et moderne (4 voll. Parigi, 1780) in cui raccolse anche notizie derivanti da viaggi effettuati da lui stesso in Francia, Svizzera e Italia.
[33] Il manoscritto di Giacomo Poffa è una voluminosa raccolta di brani per organo di autori padani appartenenti a una zona che va da Cremona a Piacenza, Brescia e Milano con autori anche di Parma e Venezia; non è ancora chiarito chi fosse l’autore, presumibilmente un capostipite o un parente dei più famosi Giuseppe e soprattutto Gianfranco (Giovanni Francesco). Il compilatore appare non troppo accurato nelle sue trascrizioni, al punto da far ritenere che fosse poco più che esecutore dilettante. Una sommaria descrizione del manoscritto si trova in Giacomo Arighi, Composizioni per organo, a cura di Fausto Caporali, Armelin Musica – Padova 2003.
[34] Devo la segnalazione di queste musiche a Marcello Villa.
[35] La dicitura Esercizio compare sovente ad indicare brani per sola tastiera lungo l’arco del Settecento, basti pensare ai Klavierübungen bachiani o alle sonate di Scarlatti che circolavano manoscritte appunto sotto tale nome. La spiegazione è dovuta al fatto che tale genere era considerato propedeutico all’arte compositiva ed improvvisativi, quasi dei saggi di possibilità che sviluppavano la tecnica ideativa e tastieristica; né d’altra parte un musicista si realizzava, se non nella seconda metà del Settecento avanzato,  come esecutore virtuoso, ma nelle ben più complete figure di musicista per il teatro e per la chiesa.
[36] Johann ulrich Haffner (1711-22.X.1767) fu liutista ed editore tedesco; fondò una casa editrice nel 1742 con J.W. Winter e la condusse in proprio dal 1745. Fu tra i principali editori di musica della metà del Settecento, specializzato in musica per tastiera o da camera della Germania centrale e meridionale. Fra le sue raccolte sono da ricordare Opere varie (72 sonate di diversi autori), Raccolta musicale (30 sonate), Collezione ricreativa (12 sonate).
[37] Non è da escludere che, dato il successo commerciale della collana dello Haffner, i curatori delle edizioni aggiungessero o adattassero al loro gusto materiale originale; d’altronde è noto che la personalizzazione di una partitura da parte di un acquirente era prevista come dato pacificamente acquisito e sottinteso.