Sul problema dell’autenticità di BWV 565 Arte Organaria e Organistica XIV 2022

 

La cronistoria[1] dell’indagine a proposito della paternità bachiana della notissima Toccata con Fuga pedaliter[2] BWV 565 sembra essere giunta al punto di una presa d’atto della sostanziale sua autenticità, anche se resiste in Italia una vulgata sottotraccia che da una accettazione entusiastica degli ultimi decenni del secolo scorso[3], perdura oggi sottoforma di acquisizione quasi indiscutibile. Accanto alle disamine estremamente dettagliate che portano ormai alla pressoché inevitabile conclusione della paternità bachiana, soprattutto senza ulteriori validazioni probatorie consistenti e in assenza di nuovi riscontri documentari, può essere anche interessante vedere il cambio di prospettiva che un’opera subisce nel corso della storia del suo arco recettivo, specialmente se da dato sensibile intrastorico dell’autore diventa dato sovrastorico a-temporale. Nel corso di questo breve articolo si vedrà di tratteggiare i termini della discussione, sunteggiare le varie posizioni e tentare di mostrare come la patina auratica che un brano può acquisire nel corso del tempo può essere il prisma deformante che incasella in categorie esse stesse non autentiche. La letteratura non particolarmente vasta sull’argomento può far riferimento principalmente ai contributi di Peter Williams, Rolf Dietrich Claus, fino al recente di Andreas Weil, dove i primi hanno sviscerato le prove contro l’autenticità -in ogni caso mai avvallate dalla critica gravitante attorno alla NBA– e l’ultimo ha azzerato il punto di partenza a favore della tradizione[4].

Un autografo bachiano non è pervenuto a noi; una copia contemporanea a Bach è rappresentata dal ms B 49[5] ed è di mano di Johannes Ringk (1717-1778)[6]; copiando nello stesso manoscritto la cantata “ Weichet nur, betrübte Schatten” BWV 202, Ringk riporta l’anno 1730, ciò che ha permesso di datare il lavoro grossomodo fra il 1730 e il 1740, ossia nel periodo del presumibile apprendistato di organista con Johann Peter Kellner (1705-1772)[7]; Kellner non risulta essere stato allievo diretto di Bach ma è certo che entrò in contatto con lui e poté avere sue composizioni da copiare: il figlio Johann Christoph in una sua lettera ci informa di avere ereditato opere di J. S. Bach dal padre “il quale era un buon amico di S. Bach e aveva creato una raccolta di sue opere”[8]; entrambi, Kellner e Ringk, ebbero rapporti amicali, e quindi forse anche musicologici, con Johann Kaspar Vogler, allievo di Bach in Arnstadt e suo secondo sostituto come Kammermusiker e Hoforganist in Weimar, poiché sappiamo che costui fu padrino al battesimo del figlio di Kellner[9]. Le altre copie della BWV 565 sono del secolo XIX e, nonostante le divergenze, sembra che dipendano dal manoscritto di Ringk, essendo solo ipotizzabile un tramite fra queste ultime e l’unica copia del XVIII secolo[10].

Alcuni dati di fatto si impongono: il brano in questione è definito da Ringk “di J. S. Bach”, ciò che elimina ogni dubbio sul fatto che si riferisse a Johann Sebastian, dubbio possibile nell’eventualità di elisione dell’autore o di abbreviazione al solo cognome di famiglia, caso quest’ultimo avvenuto nella trasmissione di opere bachiane[11]; altrettanto problematica è l’affermazione che Ringk avrebbe attribuito a Bach un’opera altrui, perché questa si sarebbe trovata nella fonte originale senza attribuzione fra due, una prima e una dopo, con espressa attribuzione, sulla base di una certa inaccuratezza del suo operare[12]. L’ipotesi di una falsificazione volontaria si scontra con la relativa ristrettezza della cerchia di esperti all’epoca, oltre che con la necessità di una motivazione plausibile[13].

Il contesto in cui compare la BWV 565 è innegabilmente bachiano: in tutte le cinque raccolte compaiono BWV 541, 551, 532/2; in quattro BWV 542 (intera o in parte), in due BWV 550; nella più antica raccolta vi sono dieci opere bachiane, nella più recente ad opera di Schübring (Ms B 115) vi sono ben 23 opere di Bach. Gli aspetti problematici sono da ricercare in peculiarità relativamente isolate all’interno dell’opera bachiana, a cominciare dall’aspetto stilistico, ossia dalla identificazione dell’area di influenza; “die norddeutsche Dreiteiligkeit”, messa in dubbio con argomentazioni poco convincenti[14], denoterebbe una dipendenza dai modelli della scuola del Nord (in particolare da Buxtehude/Böhm/Bruhns) e dunque una redazione giovanile, mentre diversamente sarebbe da ascrivere a epoca più tarda. A tal proposito si analizza il ricorso al raddoppio in ottave del celebre incipit; le ottave parallele iniziali infatti sono inconsuete per non dire uniche[15]nell’opera per tastiera di Bach: in realtà molti sono i brani strumentali che presentano un inizio a parti raddoppiate all’ottava accanto a pochi tastieristici: BWV 1052, BWV 1063, BWV 29/1, BWV 35/2,5,7, BWV 80/5, BWV 198/10, BWV 244/58d, BWV 827/5, BWV 855/2, BWV 1029/1, BWV 1046-51, BWV 547/1 (conclusione), BWV 530/1 (Triosonata in G); vale la pena isolare da questo gruppo le ottave strumentali della cantata BWV 71/1 il cui autografo è datato 4 febbraio 1708. Complessivamente si tratta di opere che manifestano una chiara dipendenza dai modelli italiani e rimandano l’impiego di ottave a una maturazione avvenuta almeno a partire dal secondo decennio del Settecento[16]. Un’attenta disamina delle fonti teoriche dell’epoca mostra effettivamente che da un divieto severo espresso da A. Werckmeister[17], si passa gradualmente a una sua descrizione/tolleranza nell’uso corrente in J. Walther[18] -di cui BWV 700 ne fornisce un esempio pratico nel basso-, fino alla diffusione come «italienischen Neuerungen» in nome della «Begierde zur Deutlichkeit» riferita da J. Mattheson[19]. La conclusione potrebbe essere che il raddoppio per ottave dell’inizio della Toccata sia da addebitare al trascrittore, con lo scopo di aggiornare e rinforzare l’inizio secondo gli standard invalsi nell’uso della sua epoca, ciò che potrebbe essere confermato dalle abbreviazioni a partire dalla 4a battuta “all unisen”, “unisen” per indicare i raddoppi, prassi abituale nel basso continuo[20].

Ulteriore elemento di discussione ha fornito la presenza del “grosse Cis”, ovvero del Do# grave nella battuta 2, tasto normalmente assente negli organi dell’epoca e in particolare sugli organi usati da Bach per ufficio; secondo Claus (116-117) la diffusione del Do# profondo nell’uso musicale avviene procedendo verso seconda metà del XVIII secolo, così come l’inserimento del tasto corrispondente al pedale dell’organo, cosa di cui J. Kellner fu forte sostenitore nella progettazione di nuovi organi[21]. Se gli strumenti con il Do# grave al pedale erano certamente rarissimi[22], resta il fatto che tale nota al pedale compare in BWV 542/1 batt. 42 e 43[23], BWV 620 batt. 10 e 21 e come Reb per tre volte in BWV 534 [24]. Sembra essere plausibile che, laddove la paternità di BWV 565 sia bachiana anche nei dettagli di scrittura, l’autore si sia diretto a qualche particolare strumento o occasione che ne permetteva la fattibilità; del resto, è noto che BWV 540/1 fu composta per una determinata occasione in cui l’organo disponeva del Fa acuto alla pedaliera (Weissenfels), come, per contro, non sappiamo come poteva essere eseguito il Si-1 in controttava della Pièce d’Orgue BWV 572.

Certamente fuori dalle abitudini bachiane sono le indicazioni di Tempo; non solo sono ben nove nell’arco della composizione, ma talune sono uniche in tutta l’opera organistica (Prestissimo, Recitativo, Presto, Molto Adagio, Adagissimo); secondo Williams «the lateness of the source may well be reflected by the frequency and the ‘modernity’ of tempo and section indications as by the staccato dots of bb 12ff and 34ff[25], neither of which could be expected in a toccata copied before 1740»[26]; la maniera esecutiva sottesa è ampiamente confermata da dettati teorico/pratici da Frescobaldi «[…] non dee questo modo di sonare stare soggetto à battuta», «Li cominciamenti delle toccate siano fatte adagio, et arpeggiando»[27] a Walther: «gemächlich, langsam»[28]; come pure il modo di trattare il “Recitativo”: «Eine Sing-Art, welche eben so viel von Declamation als von dem Gesange hat, gleich ob declamirte man singend, oder sänge declamirend»[29]; anche in questo caso la critica è orientata ad affidare alla redazione di Ringk l’inserimento di tali indicazioni: «[…] handelt es sich bei den Tempoangaben um Zusätze aus Ringks Hand, die dieser im Unterricht bei Kellner eingetragen hat, um so charakteristische Merkmale des Stylus phantasticus zu studieren»[30]. L’abbondanza di indicazioni di prolungamento ad libitum dell’inizio (Coronae), sarebbe del tutto unica per un Bach (oltre che per chiunque dovesse eseguire la propria musica) e, come è stato appurato, il suo uso non come signa finalis si è diffuso nel corso del pieno XVIIII secolo in relazione alla forma del Concerto e al diffondersi della Cadenza; anche in questo caso si tratta probabilmente di aggiunte di Ringk, che inserisce tali indicazioni dinamiche significativamente nelle sezioni libere della composizione, con lo scopo di annotarsi come si doveva intendere il genere della Toccata o del Recitativo. Stessa osservazione potrebbe adattarsi all’arpeggio scritto fuori tempo alla batt. 2: se il fuori tempo non si trova mai in Bach[31], è probabile che Ringk si sia annotato un suggerimento di esecuzione o esplicato un segno diventato obsoleto a suo tempo; è significativo che alla battuta 10 il redattore sottintenda lo stesso trattamento[32]. Altri minuti dettagli che proverebbero o meno la paternità bachiana sono costituiti dal pedale di quarta e sesta alla batt. 12/III[33], e parimenti le quarte e seste, per così dire, di passaggio alle batt. 34-35, l’errore di conduzione armonica di batt.140/IV, la conclusione con cadenza plagale e la terza minore dell’accordo conclusivo, quest’ultima del tutto originale rispetto alla normalità di una chiusa in maggiore. L’indagine più recente, allargando la visuale alle formulazioni presenti nei trattati teorici dell’epoca mostra con una certa precisione la loro possibilità pratica: passaggi con quarte e seste non risolte, benché definite «selten», sono esemplificate in C. Bernhard[34], la risoluzione eccezionale del basso è descritta in J. Walther (Heterolepsis) nei suoi Praecepta[35], la penultima battuta, nel configurarsi all’interno di un Recitativo, si esplica come un’estensione cadenziale attuata attraverso la terza minore dell’accordo di dominante, in una doppia cadenza «bei dem die V. Stufe am Beginn des vorletzten Taktes durch einen Quartvorhalt vorbereitet wird»[36]. Se l’argomento della cadenza plagale è stato lasciato cadere[37], e se la conclusione in minore è contro le abitudini e le codificazioni dell’epoca[38], le eccezioni di BWV 543/2 e BWV 537/2[39] (con BWV 1103) potrebbero bastare a fornirne una concreta possibilità[40].

Di maggior respiro sono i rilievi di natura stilistica/compositiva: le ripetizioni sono stereotipate anziché variate di volta in volta; vi è un uso eccessivamente disinvolto di accordi di settima diminuita, mancanza di una vera e propria esposizione nella fuga e di un piano di sviluppo; il contrappunto è in genere semplicistico abusando frequentemente di terze e di seste parallele[41]; non vi è controsoggetto; la conduzione delle voci è incoerente; lo sviluppo presenta sezioni in cui il contrappunto è sospeso; abbondanza di Zwischenspiele in nessuna relazione con il tema; le entrate del tema al pedale nella fuga sono tutte inusuali: la prima è dopo un divertimento, la seconda è nella tonalità di Do minore, la terza è in assolo al pedale[42].

A fronte del primo rilievo sta tutta una serie di passi in cui emerge che la ripetizione di un elemento era un carattere costitutivo del linguaggio del Bach giovanile, aspetto mediato dagli organisti del Nord e amplificato nel suo virtuosismo tastieristico imbevuto sempre più di figurazioni violinistiche; sappiamo che sulle partiture non venivano indicati i cambiamenti di tastiera o i piani e forti[43] (tranne in rari casi) ma che la scrittura identica di un frammento suggeriva automaticamente un dialogo di suoni/echi: in BWV 539/II alle batt. 49 e ss, 71 e ss; BWV 535/1 batt. 19 e ss,, BWV 549/2 batt.48-49, BWV 531/1 nel pedale solo, BWV 551/1; non farebbe eccezione BWV 565, che gioca enfaticamente su cambi di tastiera ed echi; come si può notare, le opere citate potrebbero rientrare quasi tutte nell’ambito delle Frühwerke e contribuiscono ad individuare un modello nordico su cui poi si sarebbe impiantata la forma legata al Concerto italiano (non sempre, ovviamente) e che si sarebbe espressa a livelli altissimi nei grandi preludi e fughe, dove i cambiamenti di sonorità derivano dallo stesso impianto delle opere violinistiche a cui si ispirano: in BWV 539/II alle batt. 49 e ss, 71 e ss; in BWV 572/I e III sono sottintesi; nell’Alla breve di BWV 532/1 il dialogo è fra Tutti e Concertino e forse anche nel finale della Fuga batt. 107-113 sono ipotizzabili sottintesi giochi di echi; in BWV 564/1 sono sottintesi, in BWV 546/1 sottintesi, 546/2 batt. 121 e ss. sottintesi, BWV 538/1, BWV 548/1 sottintesi. La discussione a proposito dell’uso/abuso dell’accordo di settima diminuita può trovare accordo sul fatto che in BWV 565 la valenza drammatica e rapsodica è perseguita intenzionalmente, ma un uso altrettanto invasivo lo si registra in BWV 535 batt. 19 e ss. in cui vengono usate tutte le settime diminuite possibili nell’arco di una ottava cromatica discendente, come pure, con grande forza retorica, in BWV 533 batt. 18 e ss.

Si è parlato di «Zusammenbruch des Kontrapunktes» a proposito del tessuto polifonico della fuga[44] di «semplicità», di «lavoro monoarmonico», di «errori di pianificazione tonale», di elementi che «difficilmente superano il livello di ingenuità» e sicuramente non si potrebbe passare sotto silenzio la grande quantità di particolarità che vi si incontrano; bisogna però osservare che «Eine harmonische Entwicklung in Richtung auf complexe Zusammenklänge -wie sie typisch für Bach ist»[45]ci porta fuori strada perché guarda alla produzione di Bach come a un monolite coerente e si pone in un’angolatura valutativa a posteriori arbitraria non rispettosa né delle testimonianze né delle opere. Intanto occorre sgombrare il campo dal ritenere che la forma della Fuga avesse all’epoca dei criteri definiti: mentre i trattati coevi danno definizioni/descrizioni precise sulle singole parti costituenti la Fuga, nessuno fornisce una precettistica su partizioni successive da rispettare o suddivisioni formali; tale forma era all’epoca qualcosa di vivo e duttile, che doveva essere tanto familiare e plastica nelle mani degli organisti quanto qualificante nella sua padronanza; non solo poteva essere scritta -divenendo esemplare del proprio stile-, ma poteva e doveva essere improvvisata correntemente senza esitazione. Tali estremi, sapienza contrappuntistica vs. varietà e musicalità anche ex-tempore, sono esemplificate a più riprese in trattati d’epoca: per Werckmeister il buon organista «zu einer Fuga geben solle, dass dasselbe auf unterschiedliche Arth tractieret werde»[46]; per Matthesohn «Die Wissenschaft und Fähigkeit, eine Fuge nach vorgeschriebenem themate, alsobald, stehenden Fusses, oder (wie man redet) ex tempore durchzuarbeiten, ist einem Organisten so nöthig, dass billig keiner, weder hiesiger Orten, noch anderswo angenommen werden sollte, der nicht sowol in den übrigen Artikeln, als vornehmlich in diesem, ein untadeliches Schulrecht abgeleget hätte»[47]; un compositore «vor einen schlechten Componisten gehalten wird, der in seinen Cantionibus nicht galante Fugen anzubringen (wusste)»[48]; «Fuga (à fugando) ist ein künstl. Gesang, da eine Stimme die andere jaget. Die italiäner nennen sie ein Ricercare, quod significat investigare, quaerere, et exquirere, mit Fleiss erforschen und nachsuchen»[49]. La trattatistica dell’epoca verte sulla definizione di Choral-Fuge, Fuga soluta «oder Fuga partialis, oder libera insgemein sciolta gennant», Fuga propria oder regularis, Fuga impropria oder irregularis, «Fuga totalis oder ligata, insgemein reditta», Canon, Imitatio, Modulatio, Dux, Comes, Formal-Clausul[50]. Non si registrano del pari indicazioni sulla conduzione del corpo della fuga, campo evidentemente in cui si esercitava tanto la capacità del singolo quanto la sua originalità; nel caso di Bach l’idea del quaerere, investigare si pone come dato di lettura di ogni sua fuga: il tema è un semplice punto di partenza da cui promana il ventaglio di possibilità che si disvela poco a poco in un’ottica di scoperta di valenze interne, ricerca di combinazioni, esplorazione di territori affini, nella libertà sovrana del discorso e con sotteso divertimento intellettuale; la fuga in Bach è, come doveva essere anche per i suoi coetanei, teatro di libertà, non di costrizione; solo l’affinamento progressivo avrebbe dato nella sua opera quell’aspetto di assoluta, granitica, logica interna e capacità costruttiva/combinatoria/proiettiva delle fughe della maturità, travisata nella sua essenza da una precettistica assai posteriore e ridotta alla distanza a rubricismo accademico. L’aderenza a una categoria che classifica i generi secondo una prospettiva sovratemporale non rende giustizia alle forme bachiane, le quali sviluppano i temi secondo un approccio dettato non da schemi o strutture predefinite, ma dalla retorica dell’epoca: all’Inventio seguiva una Elaboratio -capacità di sviluppare l’idea di partenza- porgendola nell’Executio -l’atto esecutivo in sé-, attraverso le Dispositio -il saper disporre con varietà le parti- e la Decoratio -conducendo un discorso gradevolmente artistico– «zugleich gute inventiones nicht alleine zu bekommen, sondern auch selbige wohl durchzuführen, am allermeisten aber eine cantable Art im Spielen zu erlangen, und darneben einen starcken Vorschmack von der Composition zu überkommen»[51]; in quest’ottica l’idea iniziale di una composizione diventa germoglio generativo che crea un percorso performativo di volta in volta incentrato a sé, vettore di proprietà esclusive scevre da predeterminazioni in parti o sezioni dettate dal di fuori[52]. Ma vi è un ulteriore aspetto da prendere in considerazione che capovolge il modo attuale di intendere un’opera data: una composizione scritta era tale se “identificava” il suo autore/esecutore, ovvero, se recava un’impronta creativa propria e rimandava all’autore/performatore immediatamente; non si dava il caso, se non occasionalmente e con malcelata sopportazione[53], che un musicista eseguisse musiche altrui o che avesse partiture davanti a sé[54]; il modello, cioè la partitura data dal maestro ad allievo, era “modello di composizione” a cui ispirarsi nell’arricchire le proprie conoscenze[55]: nel momento in cui si accedeva alla vita pubblica di Musiker occorreva presentarsi con la propria Ausbildung professionale ma soprattutto con la propria musica, non con altre auctoritates surrogate[56]. Sotto questa angolatura possiamo vedere l’inizio di BWV 565/1 come “inventio”, ossia come elemento che, nell’esplicare un’idea tematica essenziale alla base di una composizione musicale, ne traccia la sua originalità riferita al compositore; in altre parole, l’autore ha “trovato” qui un suo gesto, un suo tratto singolare: i molti parallelismi con altre opere bachiane confermano questa peculiare intuizione[57]. In questa stessa direzione possiamo considerare anche la fuga BWV 565/2 come saggio/assaggio compositivo/esecutivo che, prendendo le mosse da un tema improntato a modelli in voga, individua una propria poetica di grande forza e novità – in particolare l’individuazione del linguaggio violinistico applicato alla tastiera, -uno dei punti dirimenti della produzione bachiana rispetto ai precursori e contemporanei- unitamente all’esibizione di virtuosismo e originalità digitale.

La discussione sulla produzione giovanile di Bach, per quanto soggetta ad inevitabili approssimazioni e piccoli spostamenti temporali, sembra portare a una sostanziale convergenza sull’individuazione di un percorso che procede dalle tre Choralfughetten BWV 749, BWV 750, BWV 756 e dalla Neumeister-Chorälesammlung di Ohrdruf (o Eisenach) fino a BWV 531, BWV 533, BWV 535a, BWV 535, BWV 549a, BWV 549, BWV 551, BWV 563, BWV 570, BWV 574a/b, BWV 578, di poco posteriori giuntici attraverso la Möllersche Handschrift e l’Andreas-Bach-Buch[58] o in copie contemporanee a Bach; mentre le prime raccolte testimoniano il necessario lavoro di apprendimento per raggiungere la padronanza della Fuga e dei vari tipi di contrappunto, all’epoca pre-condizione per acquisire titoli di merito, i secondi ci immettono nel mondo della composizione libera. E’ indicativo gettare lo sguardo sul contenuto dei manoscritti: in essi vi sono opere per tastiera provenienti dalla Germania del Nord, Preludi e Fughe in d-Moll e F-Dur di Böhm, in e-Moll e G-Dur di Bruhns, Präludium in A-Dur BuxWV 151 e Toccata in G-Dur BuxWV 165, una Suite di Reinken, opere di Buttstedt, Kuhnau, Pachelbel, Albinoni, Lebègue, Flor; nei due manoscritti vi sono ben undici composizioni di Bach; in nuce è possibile vedere la varietà e l’ampiezza di orizzonti del giovane organista, aperto alle influenze provenienti dalle migliori correnti europee che avrebbero portato il suo linguaggio ad avere proprio la caratteristica di accogliere le sollecitazione e di riforgiarle in una fusione superiore unica. A questo stadio della formazione culturale di Bach possiamo individuare le valenze soprattutto tastieristiche, ed è altrettanto significativo che, paritariamente alle composizioni dei modelli, vi siano le proprie, segno di un mondo poetico già convinto e personale, meritevole di essere messo nero su bianco, certamente frutto di trascrizione delle proprie migliori improvvisazioni[59], dei propri stilemi identificativi precisati e pervenuti al rango di composizione.

Passando alle questioni di dettaglio della fuga, il confronto sarà pariteticamente sulle opere giovanili di Bach, senza tralasciare opere posteriori che rappresentano una connessione/evoluzione di esse, e poi con opere che prospettano ipotesi alternative. Come è stato appurato da più parti, il tema di BWV 565/2 denota i caratteri del “Thementhypus”, ovvero di una Figurenlehre che aveva la valenza di topos formativo che si trova utilizzato variamente in autori precedenti o coevi[60] come motivo a sedicesimi continui per la forma della Canzone (Canzonetta). Allo stesso tipo di tema in sedicesimi si ispira BWV 531/2 e BWV 575. La risposta al tema è alla quarta: ciò è tutt’altro che assente in Bach, trovandosi adottata BWV 531/2, 562/1, 539/2, Capriccio sopra la lontananza BWV 922/2 e BWV 1109. Il ricorso a episodi di collegamento (oggi li chiameremmo divertimenti) fra una apparizione e l’altra del tema che non sono riconducibili al tema stesso sono frequenti in Bach: vedi in BWV 531/2 batt. 19-22, 27-33, 47-49, 56-e ss.; in BWV 574 batt. 14-18, 67-70, 91-95; in BWV 575 batt. 40-41, 44-45; in BWV 579 batt. 25-31, 65-73; in BWV 533 batt. 16-18, 30-33; in BWV 535 batt. 21-24, 29-32, 52-54, 60-63; in 549 batt. 22-23, 31-32, 36-38; per l’opera più tarda basti citare quale esempio di libertà BWV 546/2 batt. 121-137 o BWV 548 batt. 60-68, 72-80, 120-131, 160-172, esempi che si potrebbero moltiplicare sia all’interno dell’opera per organo che nella restante produzione.

Il contrappunto semplice per terze o seste di BWV 565/2, indubbiamente dettato dalla peculiarità del tema, richiama più a esigenze esecutive che non a controcanti smaliziati; ma stessa fisionomia vi è in BWV 531/2 e 549/2, che non presentano controsoggetto o padronanza della conduzione delle singole voci né pianificazione ragionata di sezioni. Una conduzione di voci impacciata traspare indubbiamente nelle sezioni fugate di BWV 551[61]. Procedimenti per terze/seste sono presenti abbondantemente in BWV 564/3, BWV 575, BWV 544/2, per limitarci alla produzione organistica; La sospensione del contrappunto è palese in BWV 531/2 batt. 23-24, 38-40; BWV 549/2 batt. 40 e ss.; in 534/2 batt. 60-63, 98-101; nelle posteriori BWV 548/2 (vedi sopra) e BWV 539/2 diventa pressoché programmatico: batt. 8-10,12-14, 40-53, 68-75, 80-81; si veda anche BWV 903, batt. 49-52 e 97-100. Il passaggio del tema nella tonalità lontana sul VII grado in BWV 565 risulta indubbiamente sorprendente; non mancano casi paralleli o comunque indicativi: in BWV 532/2 batt. 89 e ss. (Do# minore rispetto a Re), e batt. 90 e ss. (Mi maggiore rispetto a Re maggiore) in 542/2 batt. 55 e ss. (tema in Fa rispetto a Sol minore); in BWV 551 il divertimento delle batt. 63- 67 è imperniato attorno alla tonalità di Do minore mentre la fuga è in La minore; in BWV 903/2 il tema alle batt. 90 e ss. si trova in Mi minore rispetto al Re minore di partenza; in BWV 894/2 a batt. 65 e 101 il tema si trova rispettivamente in Si minore e Sol minore rispetto a La minore. Nel Capriccio BWV 992 batt. 6 il tema si trova in Fa minore rispetto all’impianto di Sol minore. Il tema in assolo al pedale è sicuramente un caso unico; ma in BWV 532/2 il tema al pedale risulta esibito ben otto volte nella parte iniziale senza accompagnamento, certamente per rendere eclatante la performance podistica. I passaggi a voce sola all’interno di una fuga trovano un parallelo in BWV 548/2 e in BWV 539/2, come già evidenziato. Ulteriore caratteristica che vale la pena riportare è il requisito di perpetuum mobile dell’opera; il movimento incessante in sedicesimi trova analogie con BWV 531/2, BWV 578 una volta enunciato il tema, BWV 574, per restare nell’ambito delle Frühwerke[62].

L’ipotesi di una attribuzione a Johann Peter Kellner è stata avanzata da David Humphreis[63] e Stephan Emele[64]; per quest’ultimo l’alta datazione del manoscritto, l’influenza dello stile galante italiano sulla Toccata, la grande distanza qualitativa con brani ascrivibili al periodo giovanile, oltre alle particolarità compositive sopra elencate, porterebbero alla paternità del Kellner. Il confronto fra BWV 565 e le opere attualmente pubblicate di Kellner[65] porta a rilevare qualche analogia nella figurazione del tema della Fuga della Suite per cembalo VI[66], nella non infrequente sospensione cadenziale sull’accordo di 2/3/4[67] in parallelismi di ottave[68]. Se la matrice galante è evidente nelle opere per cembalo, il trattamento dei temi nelle fughe risulta sempre corretto nella risposta, la conduzione delle voci è sempre sorvegliata, gli sviluppi coerenti, anche se i raccordi o Zwischenspiele sono standardizzati quasi sempre in successioni armoniche; mancano paralleli sul piano dello Stylus phantasticus[69], di tripartizioni, della lunghezza -nessuna arriva a quella della BWV 565-, di irregolarità di qualunque genere. Se da una parte non vi sono elementi in comune, dall’altra non si può inferire più di tanto, data l’esiguità complessiva di musiche kellneriane giunta a noi.

Come già osservato, la tesi di una trascrizione di BWV 565 da un originale per violino, al di là della fattibilità tecnica molto problematica[70], non ha sponde documentarie perché nessuna Toccata per violino solo è giunta fino a noi da quell’epoca, non esistendo tale genere autonomamente[71]; ovviamente non è stato prospettato nessun possibile autore di tale originale, neppure in identikit[72]: se si trattasse di Bach stesso il problema cade immediatamente, il problema resta, e non da poco, se si pensa ad altri autori. Il linguaggio volinistico è assolutamente evidente, ma si è visto che tale acquisizione in Bach è diventata presto programmatica e stabilisce una netta differenziazione rispetto ai contemporanei: proprio la piena consapevolezza di trasfondere sull’organo la grande musica degli ensemble strumentali fa la superiore differenza con i suoi colleghi. Resta valida l’affermazione di Williams: «A work such as the ubiquitous “Toccata and Fugue in D minor for Organ”, BWV 565 might give an idea of what some organists throughout the eighteenth century could improvise with thin harmonies, a few rhetorical gestures, dramatic pauses, simple shape, much repetition and virtually no counterpoint»[73]. Ma l’aspetto di ricerca programmatica e la fisionomia improvvisativa possono illuminarsi a vicenda se si considera BWV 565 un insieme di topoi personali raffiguranti la propria identità musicale in fieri di cui l’evoluzione futura ne testimonia la progressione. La stessa irruenza di composizione o mancanza di controllo o semplicità di ordito, le continue forzature e incongruenze, dovevano influire sulla trasmissione manoscritta; possiamo infatti pensare che tutte le manchevolezze inducessero Bach a non divulgare presso i propri allievi tale brano: ad essi indirizzava exempla compositivi degni del proprio rango valoriale, tali che lo confermassero nel ruolo di “starker fugisten[74] e forse solo tardivamente ha lasciato uscire le sue prime opere per qualche suo ammiratore, non rivedendole perché impossibili da emendare e troppo lontane dalla maestria e reputazione acquisita presso di lui. Dobbiamo tener presente infatti che Bach pretendeva la massima esattezza nelle consegne da parte dei propri allievi[75], probabilmente poteva rivedere le proprie opere per perfezionarle[76] forse anche in occasione di una concessione didattica del modello[77]. La tardività della copia spiegherebbe da una parte l’aggiornamento grafico e l’esplicazione morfologica effettuato da Ringk nel trovarsi davanti un’opera appartenente a uno stile ormai datato[78] annotandovi le modalità stilistiche, dall’altra potrebbe derivare da una divulgazione non controllata/concessa/tollerata/monetizzata[79] di brani provenienti dall’atelier di un musicista di superiore e riconosciuto valore [80].

 

FAUSTO CAPORALI 

 

  1. Devo parte della raccolta dei dati di questo lavoro all’ex allievo Paolo Maria Guardiani contenuto nella Tesi Toccata con Fuga in d: correlazioni e problemi di autenticità, Conservatorio di Torino, Anno Accademico 2006/2007.

  2. La denominazione corrisponde al titolo dato da J. Ringk, che però continuerebbe con “ex. d. #” dove il diesis è errore al posto di bequadro o bemolle, stante la mancanza di alterazioni in chiave del brano, ciò che ha destato già perplessità.

  3. Oscar Mischiati, «L’Organo», Anno XXXII, 1998-99 (2000), Recensioni, p. 238, 240.

  4. Peter Williams: BWV 565: A Toccata in d minor for organ by J. S. Bach? in Early Music, 09 (July 1981), 330-337; The organ music of J. S. Bach, Cambridge University Press, I-II (1980), III A Background (1984), in particolare I, p. 214-221; Einleitender Aufsatz zur Toccata für Solovioline von der “Toccata und Fuge d-moll” für Orgel, transkribiert von Jaap Schröder, London 1985; Rolf Dietrich Claus, Zur Echtheit von Toccata und Fuge BWV 565, Verlag Dohr, 19982; Der komponierende Organist um 1700/Studien zu Toccata und Fuge d-moll BWV 565 von J. S. Bach, von Andreas Weil, Verlag Dohr, Köln, 2020.

  5. Konvolut Mus. Ms Bach P 595 della Staatsbibliothek di Berlino (sigla B 49); comprende 10 quaderni con opere per organo e per cembalo di Bach trascritte da Ringk, Agricola, e due Anonimi; sette sono quelle di mano di Ringk.

  6. «Nachweislich Schüler von Johann Peter Kellner in Gräfenroda. Später studierte er noch bei Stölzel in Gotha. Ab 1740 lebte er als Musikleher und Opernkomponist in Berlin. Vom 13. Januar 1755 an bis zu seinem Tode wirkte als Organist an St. Marien zu Berlin» (Dietrich Kilian, J. S. Bach Neue Ausgabe/Sämtlicher Werke, IV/5-6 Kritischer Bericht, Teilband 1, p. 197). Fonti tarde ci dicono che fu «ausgezeichneter Orgelspieler, berühmt im freien Fugenspiel»; in Claus, Zur Echtheit, op. cit. p. 111.

  7. I dati sono desunti dalle analisi estremamente dettagliate di R. Claus e A. Weil cui si rimanda ampiamente. Williams sposta il termine di compilazione di un trentennio, per appoggiare le molte peculiarità di scrittura che non potevano essere, a suo avviso, precedenti al 1740; si veda Williams, The organ music of J. S. Bach, I, op. cit. p. 215.

  8. Dokumente zum Nachwirken Johann Sebastian Bachs 1750-1800, Leipzig und Kassel, 1972, III, p. 435.

  9. Weil, Der komponierende Organist, op. cit. p. 206 e 232.

  10. Kilian, J. S. Bach Neue Ausgabe, Kritischer Bericht, Teilband 2, op. cit. p. 518.

  11. Weil, Der komponierende Organist, op. cit. p. 211.

  12. Claus, Zur Echtheit, op. cit. p. 54; la scarsa reputazione dell’allievo e del suo maestro Kellner come copisti è generalmente condivisa; come caso parallelo Claus cita un errore di Wilhelm Friedmann Bach che attribuì interamente al padre la paternità del BWV 596 trascritto da Vivaldi. Il fatto che Ringk sbagli l’attribuzione della paternità di una versione del BWV 531 citando “Joh. Christ. Bach” e lasci imprecisioni nel tessuto musicale, è uno dei motivi per cui la certezza assoluta nel caso della BWV 565 non è acquisita. Tuttavia si può mettere in conto che la copia potesse essere una redazione leggermente modificata per proprie necessità e “corretta” con varianti personalizzate o suggerite dallo stesso Maestro; un caso eclatante è il rifacimento di BWV 540 per organo con estensione del pedale a Fa3 in BWV 540a da parte di J. T. Krebs per organo con pedale fino a Re3, ma sono possibili varianti nel senso di ornamenti aggiunti/tolti, accordi larghi ridotti per mano piccola, riempimenti accordali, alterazioni riviste, ecc…; in BWV 536a addirittura vi è una semplificazione della parte di pedale. Nel caso di Bach, però, la copia/trascrizione era una re-interpretazione dell’originale che faceva acquisire splendida autonomia stilistica, in tempi oltretutto in cui la rivendicazione intellettuale della proprietà era ben lontana da quella di oggi.

  13. Weil, Der komponierende Organist, op. cit. p. 212.

  14. Il copista lascia due righi vuoti prima della Fuga, di fatto facendo una cesura; la lunghezza della Fuga mostra per un brano di area tedesca del nord una «schier unvorstellbare Ausmasse», la suddivisione di tutta l’opera potrebbe essere fatta in cinque/sette/undici parti; «die excessive Harmonik», «die extreme Kleingliedrichkeit, ja Heterogenität innerhalb der Toccata, die eigentlich Form verhindert statt sie zu schaffen» insolita per un contemporaneo di Buxtehude; la “Nicht-Form”: questi elementi escluderebbero la BWV 565 dalle Frühwerke. Si veda Claus, Zur Echtheit, op. cit. p. 57 e ss. La discussione sull’esattezza del titolo di un brano organistico dell’epoca ha ormai assodato che i copisti avevano campo libero davanti al modello: «Heutige Unterscheidungen zwischen den Begriffen “Praeludium”, “Toccata”, “Fantasia” etc. seien willkūrlische, auf Vermutungen beruhende Festlegungen, die damaligen Praxis nicht entsprächen». Vedasi Claus, Zur Echtheit, op. cit. p. 49.

  15. Williams, BWV 565: A Toccata, op. cit. p. 334.

  16. Claus, Zur Echtheit, op. cit. p. 64: «Schwerlich kann ein Stück als vorwiegend norddeutsch beeinflusst angesehen werden, das mit einem tutti-Ritornell nach italienischem gusto beginnt».

  17. Andreas Werckmeister, Cribrum musicum Oder musicalisches Sieb, Halberstadt 1700, Faksimilenachdruck Charleston (SC) 1923, p. 2.

  18. Johann Gottfried Walther, Praecepta der Musicalischen Composition, Weimar 1708 (Ms.), (Jenaer Beiträge zur Musikforschung 2), hrsg. Von Peter Benary, Leipzig 1955, p.117.

  19. Johann Mattheson Exemplarische Organisten-Probe Im Artikel Vom General-Bass, Hamburg 1719, in Weil, Der komponierende Organist, op. cit. p. 214.

  20. Siegbert Rampe, Generalbasspraxis 1600-1800, in Weil, Der komponierende Organist, op. cit. p. 216. Secondo Wolff, che colloca BWV 565 nel periodo di Arnstadt, il raddoppio poteva essere un’ingegnosa soluzione per sopperire alla mancanza di registri di 16 piedi e creare un effetto di organo pleno. Si veda Christoph Wolff, J. S. Bach – The learned musician, Oxford University Press, 2002, p. 72.

  21. R. Claus, Zur Echtheit, op. cit. p. 117.

  22. Ma almeno uno è riconducibile alla Georgkirche di Eisenach dove era organista il fratello Johann Christian Bach. Si veda Weil, Der komponierende Organist, op. cit. p. 217.

  23. Stranamente sfuggito alla totalità degli studiosi; all’elenco si può aggiungere il Pedalexercitium BWV 598, benché probabilmente destinato al cembalo con pedaliera.

  24. La paternità bachiana di quest’opera è messa in dubbio da D. Humphreis; si veda David Humphreis, Did J. S. Bach compose the F minor BWV 534? in Bach, Haendel, Scarlatti, Cambridge, London, New York, 1985.

  25. In relazione al ricorso di puntini anziché piccole aste verticali per indicare lo staccato, l’evoluzione è testimoniata dallo stesso Bach in BWV 851/2, nelle Triosonaten, nella Musikalisches Opfer, Ricercare à 3, ecc.

  26. Williams, The organ music, op. cit. I, p. 215.

  27. Toccate e partite d’Intavolatura di Cimbalo, Libro primo, Roma, 1615b, Al lettore.

  28. Johann Gottfried Walther, Musicalisches Lexicon oder musicalische Bibliothec, Leipzig 1732, hrsg. von Friederike Ramm, Studienausgabe, Kassel u.a. 2001, p. 8.

  29. Walther, ibidem, op. cit. p. 515.

  30. Weil, Der komponierende Organist, op. cit. p. 219.

  31. Arpeggio in tempo misurato si trova in BWV 574 batt. 106, 114, BWV 533 batt. 9, BWV 531/2 batt. 73; il segno abbreviato di arpeggio compare in BWV 568 batt. 6 e 13.

  32. Al punto che Weil si chiede «ob das ausnotierte Arpeggio nicht als Hinweis zu verstehen ist, weitere vollgriffige Akkorde zu arpeggieren». Vedasi Weil, Der komponierende Organist, op. cit. p. 221.

  33. Da vedere però in relazione anche alla registrazione adottata.

  34. Christoph Bernhard, Tractatus augmentatus compositionis, in Die Kompositionlehre Heinrich Schūtzens in der Fassung seines Schūlers Christoph Bernhard, eingelatet und hrsg. von J. Mūller-Blattau, Kassel u.a. 1963 (20034), p. 68.

  35. Walther, Praecepta der Musicalischen Composition, op. cit. p. 144.

  36. Weil Der komponierende Organist, op. cit. p. 223. Per l’aspetto teorico della Cadenza doppia vedi ibidem p. 124 esemplificata con BWV 551 batt.73/88.

  37. « […] but the final minor plagal cadence (if the sources are correct) is rare, even unique». Si veda Williams, The organ music, op. cit. I, p. 220) si scontra con le Frühwerke BWV 570, 575, 579, 549.

  38. Ampia documentazione in Weil, Der komponierende Organist, op. cit. p. 224.

  39. Stranamente mai poste all’attenzione. Da sottolineare come BWV 543, con notevoli probabilità ascrivibile al periodo post-giovanile -nella tradizione manoscritta l’abbinamento fra preludio e fuga è sicuro, nonostante vi siano due redazioni del Praeludium 543 e 543a più antica (D. Kilian, J. S. Bach Neue Ausgabe, Kritischer Bericht, Teilband 2, op. cit. p. 478)- è articolato in modo significativo tra due stili: la prima parte del Praeludium è in Stylus Phantasticus, ma a batt. 36 diventa improvvisamente Concerto grosso; la fuga è italianizzante, ma la conclusione è ancora in Stylus Phantasticus.

  40. Weil, Der komponierende Organist,op. cit. p. 225 è propenso per un cambiamento operato da Ringk o una sua dimenticanza; In una copia di BWV 542/2 di Kellner vi è conclusione in minore, come in una copia anonima di BWV 533/2; resta intatta la forza e l’ardimento di un accordo minore a conclusione di un recitativo e di una composizione piena di eccezioni.

  41. Secondo Williams «The simplicity with which the diminished seventh is treated, moreover, is such as to give it a dramatic prominence -a patent rhetoric- scarcely typical of 1705 when, on the grounds of form and contrapuntal style, the work might otherwise be thought to have been composed». Vedi Williams, The organ music, op. cit. I, p. 215.

  42. Caso unico nella letteratura organistica; in Williams, The organ music, op. cit. I, p. 219.

  43. Williams, The organ music, op. cit. III, pp. 171-183. La stessa mancanza di segni di agogica o di indicazioni di registri o di tocco rimandano ad un uso didattico della partitura, quindi non ad un uso di supporto meramente esecutivo: tali indicazioni sarebbero state del tutto inutili perché sottese dal genere di appartenenza della composizione o personalizzate immediatamente dal fruitore a seconda del proprio modo di suonare, dell’organo a disposizione, dell’ambiente di riferimento; ogni ipotesi di ricostruzione di registrazioni, tocco, tempi, risulta, dato lo iato storico intercorso, la mancanza di strumenti pervenuti integri, il non intendere più tempi e stilemi, indimostrabile.

  44. Monica Johanna Umstaede, The early organ Preludes, Fugues, Toccatas and Fantasias of J. S: Bach, 1 980, in Claus, Zur Echtheit, op. cit. p. 67.

  45. Claus, Zur Echtheit, op. cit. p. 68.

  46. Andreas Werckmeister, Harmonologia Musica oder kurze Anleitung zur musicalischen Composition, Quedlinburg, 1702, p. 68.

  47. Johann Mattheson, Der vollkommene Capellmeister, Hamburg 1739, hrsg. von Friederike Ramm, Studienausgabe Kassel u.a. 1999, p. 474.

  48. Walther, Praecepta der Musicalischen Composition, op. cit. p. 184.

  49. Ibidem, p. 47.

  50. Ampia descrizione di questi elementi in Weil, Der komponierende Organist, op. cit. p. 147 e ss.

  51. Gebrauchanweisung alle Inventionen, Bach Dokumente I, pp. 200-221; si rimanda a Laurence Dreyfus, Bach e i modelli dell’invenzione, in Ovunque lontano dal mondo. Elogio della fantasia, a cura di Enzo Restagno, Longanesi & C., 2001, p. 7-47, per i parallelismi fra retorica e modelli compositivi in Bach e per una lettura analitica ed auditiva “secondo l’epoca” di BWV 772.

  52. I molteplici riferimenti dell’incipit di BWV 565 col il resto della composizione sono agevolmente evidenziabili; si veda la stringata ma efficace analisi di Wolff, in cui si sottolinea, tra l’altro: «if the rampant figurative materials that shape the entire first section sound as though the composer got carried away, we should note that the figuration patterns remain remarkably well focused; in fact, they can be reduced to a single governing idea, the head motive that opens the work. […] The intention to achieve structural unity -despite a strong improvisatory impulse- also reaches into the fugue, whose theme is directly derived from the head motive in both regular and inverted versions». Si veda Wolff, J. S. Bach – The learned musician, op. cit. p. 72. Stretti richiami melodici-intervallari fra preludio e fuga sono evidenziabili anche in BWV 549, BWV 531 e BWV 535.

  53. «Was wollten doch die Herren Organisten anfangen wenn sie nicht aus eignem Sinn in ihren Vor= und Nachspielen fantasieren könnten? Es würde ja lauter höltzernes, auswendig=gelernetes und steiffes Zeug herauskommen» (J. Mattheson, Der volkommene Capellmeister, 1739); «Einen Prediger, welcher alles von Wort zu Wort auswendig lernen, oder herlesen muss; und einen Spieler, so beständig entweder auswendig lernen, oder die Noten vor die Nase legen muss, halte ich vorzüglich vor geplagte Creaturen» (J. Adlung, Anleitung zu der musikalischen Gelahrtheit, 1758).

  54. Il termine “spielen” equivaleva a improvvisare: il vero stile «mit welcher eine Orgel bespielet wird und gehandhabt seyn will: [..] kann wol keine Schreibart, sondern muss nothwendig eine Spielart heissen»; in Mattheson, Der vollkommene Capellmeister, op. cit. p. 472.

  55. La celebre “Mondscheinanekdote” è da leggere come esigenza conoscitiva del giovanissimo Bach da una parte e come proprietà esclusiva, riservata, secretata perché contenente modelli di riferimento, pagata in denaro e da tesaurizzare, dall’altra.

  56. «Der seelige hat durch eigene Zusätze seinen Geschmack gebildet» in Brief K. Ph. Emmanuel Bachs an J. N. Forkel, in J. N. Forkel, Ueber J. S. Bachs Leben, Kunst und Kunstwerke (Leipzig 1802); Edition.Quelle. Materialien, Bärenreiter, 2008, p. 108. Valga per tutti questi aspetti il rimando all’esauriente e documentato contributo di Paolo Crivellaro, Organo e interpretazione/La scuola della Germania del Nord Parte I, Blockwerk Editiones, 2021, in particolare alla sezione Repertorio per organo solo, p. 86 e ai capitoli “Musica ex tempore”, Suonare a memoria”, “Le composizioni quali modelli pedagogici”.

  57. Vedi infra esempi allegati.

  58. È certo che la stesura dei manoscritti sia dovuta a Johann Christian Bach in una forbice di tempo che va dal 1703 al 1713. Si veda Hans-Joachim Schulze, Studien zur Bach-Ueberlieferung im 18. Jahrhundert, Leipzig und Dresden 1984; rimandiamo alla dettagliata descrizione della tradizione manoscritta e alla sostanziale concordanza degli studiosi nella datazione dei brani a Kilian, J. S. Bach Neue Ausgabe, Kritischer Bericht, op. cit. Teilband 1, p. 180 e ss. e Weil, Der komponierende Organist, op. cit. p. 43 e ss. Per BWV 568 l’attribuzione al giovane Bach è poco sicura, essendo la sua tradizione manoscritta tarda e la maggior parte delle volte in unione a BWV 591, oggi espunto dalle opere bachiane; vedi Kilian, J. S. Bach Neue Ausgabe, Kritischer Bericht, Teilband 2, op. cit. p. 535.

  59. Williams parla di “improvvisazione scritta”; vedasi Williams, BWV 565: A Toccata, op. cit. p. 334. la prassi dell’epoca può confermare tranquillamente tale affermazione per la generalità delle composizioni scritte, laddove questa sia intesa come definizione del proprio paradigma artistico a seguito di un lavoro pratico incessante e quantitativamente ben superiore a quanto pervenuto a noi su carta. «Ein Grossteil des Bachschen Orgelwerkes überhaupt sei auf Improvisationen zurückzuführen und verfolgte deren vermeintliche Spuren» (Werner Tell, Versuch einer Formdeutung der freien Orgelpraeludien Bachs, «Musik und Kirche» 21, 1951, 1-11, in Claus, Zur Echtheit, op. cit. p. 62. Si veda per una documentazione di prima mano sulla necessità primaria dell’improvvisazione per un organista dell’epoca: P. Crivellaro, Organo e interpretazione, op. cit. p. 104.

  60. In BuxWV 165, Canzonetten BuxWV 172, 225, K. Kerll (DTB II.ii), Bruhns G Dur batt. 86; cf. Williams, The organ music, op. cit. I, 218; Dietrich Kämper ravvisa nel tema di BWV/2 una «enge Verbindung zwischen den Kanzonen Buxtehudes und der Figurenlehre Bernhards»; si veda Weil, Der komponierende Organist, op. cit. p. 163.

  61. Oggi vi è sostanziale concordanza fra i critici nel ritenere quest’opera autenticamente bachiana, forse riconducibile alle prime esperienze compositive in Ohrdruf; vedasi Weil, Der komponierende Organist, op. cit. p. 44.

  62. Tale tipologia si trova in BWV 538/1, BWV 734, ma gli esempi si potrebbero moltiplicare al di fuori dell’opera organistica laddove vi sia un impianto di Concerto italiano o Solo/Violino (Fuga BWV 894/2, BWV 29/1, BWV 1048/2, BWV 1050/1, ecc..).

  63. David Humphreis, The D minor Toccata BWV 565, in Early Music 10 (1982), p. 216-217.

  64. Stephan Emele, BWV 565 – ein Werk von Kellner, http://www.johann-peter-kellner.de/htm/werke/emele.htm#216#216.

  65. J. P. Kellner Orgelwerke huitgegeven door dr. Ewald Kooiman, Incognita Organo 41, Harmonia 1992; J. P. Kellner, Ausgewählte Orgelwerke Reihe II, n. 7; Fr. Fistner & C.W. Siegel & Co., Köln, 1958; J. P. Kellner, Olgerwerke, a cura di M. Machella, Armelin Musica – Padova, 2004.

  66. J. P. Kellner, Opere per Clavicembalo, a cura di Laura Cerutti, Euganea Editoriale Comunicazioni, Padova, 1994.

  67. Praeludium con Fuga pro organo pleno (G minor), batt. 104, Praeludium pro organo pleno (D minor) batt. 44; Doppelfuge in d batt.75; Praeludium F Dur batt. 47.

  68. Iniziali in Praeludium F Dur pro Organo pleno, finali in Praeludium und Fuge C Dur Pro organo pleno, a batt. 58-62 in Praeludium pro Organo pleno (in C Dur).

  69. L’aspetto libero è costituito solo da cadenze finali, nello stile descritto da C. Ph. E. Bach nel Versuch über die wahre Art das Clavier zu spielen, Berlin, 1753 e 1762; si veda l’edizione italiana Saggio di metodo per la tastiera, a cura di Gabriella Gentili Verona, Edizioni Curci, Milano1993, Parte seconda, cap. XLI.

  70. Elenco dettagliato dei punti deboli in Claus, Zur Echtheit, op. cit. p. 108.

  71. Bernhard Billeter, Bach’s Toccata und Fuge d-moll fūr Orgel BWV 565 – ein Cembalowerk? «Die Musikforschung», 1997, Heft 1, p. 79.

  72. Williams definisce ancora BWV 565 «somebody else’s work, possibly a transcription» in P. Williams J. S. Bach, A musical biography, Cambridge University Press, 2016, p. 623.

  73. Williams, ibidem, p. 120.

  74. «Blos eigenes Nachsinnen hat ihn schon in seiner Jugend zum reinen u. starken Fugisten gemacht» in Brief K. Ph. Emmanuel Bachs an J. N. Forkel, in Forkel, Ueber J. S. Bachs Leben, Kunst und Kunstwerke, op. cit. p. 108.

  75. «Ihr Gefühl für Reinigkeit, Ordnung und Zusammenhang in den Stimmen musste erst an andern Erfindungen geschärft und gleichsam zu einer Gewohnheit werden, ehe er ihnen zutrauete, dieselben Eingeschaften ihren eigenen Erfindungen geben zu können»; vedasi Forkel, Ueber J. S. Bachs Leben, Kunst und Kunstwerke, op. cit. pp. 51-52; ma le testimonianze si potrebbero moltiplicare.

  76. Forkel ci documenta, anche dettagliatamente, “Von Bachs Sorgfalt, seine Werke stets zu verbessern”; vedi ibidem, p. 83.

  77. Le redazioni successive di BWV 535 rispetto a 535a (di cui possediamo l’autografo e non copie), di BWV 574 rispetto a 574a e 574b, di BWV 533 rispetto a 533a sono migliorative strutturalmente e musicalmente; vedasi Kilian, J. S. Bach Neue Ausgabe, Kritischer Bericht, Teilband II, op. cit. p. 501.

  78. La collocazione temporale dello Stylus phantasticus è inquadrata da Paolo Crivellaro in Die Norddeutsche Orgelschule, Carus 60.010, Stuttgart, 2014, Cap. 10 e Paul Collins in The stylus phantasticus and free keyboard music of the North German Baroque, Taylor & Francis, 2017, p. xii, fra la Musurgia Universalis (1650) di P. A. Kircher e il Vollkommene Capellmeister (1739) di J. Mattheson. Le opere organistiche di Bach ascrivibili con qualche certezza al periodo dopo il 1726 non recano traccia di Stylus phantasticus; fra i suoi allievi vi è il solo J. L. Krebs a praticarlo in evidenti imitazioni di partiture del suo Maestro. Nel Versuch di K. Ph. E. Bach non compare più il termine Stylus phantasticus.

  79. Per questo aspetto, abituale all’epoca, vedi P. Crivellaro, Organo e interpretazione, op. cit. p. 118.

  80. «dieses vortreflichen Mannes», così Kellner definisce Bach isolandolo in mezzo ai molti frequentati in gioventù fra i Grossen Meister; si veda Bach Dokumente, op. cit. II, p. 77. ↑